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Angelo Orlando Meloni

“Cinque domande, uno stile” ospita Angelo Orlando Meloni, scrittore siciliano, in libreria con il suo ultimo “Santi, poeti e commissari tecnici” (2019, Miraggi Edizioni).

 

Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?

È una sensazione molto eccitante. Ci si sente vivi, felici. Poi dopo arriverà il lavoro e la fatica e la voglia di scomparire, per non parlare dei dubbi, delle porte in faccia, degli incubi per una virgola fuori posto o per una recensione in più o in meno, ma quando arriva l’idea è davvero super. Però bisogna considerare che all’inizio scrivi solo per te stesso, che è anche uno e non l’unico dei motivi per cui i primi scritti spesso fanno vomitare. Poi le sensazioni cambiano, se riesci a pubblicare qualcosa la prospettiva si allarga, ci sono tanti elementi che entrano in gioco. E ciò può essere bellissimo e può essere devastante, le esperienze grottesche sono sempre dietro l’angolo. Alla fin fine, però, si scrive perché si è letto, la lettura è la cosa più importante o dovrebbe esserlo, quella a cui sono legate le sensazioni più pure e più forti, i ricordi migliori. Mal sopporto gli pseudo-scrittori con il classico parco letture standard da neolaureato convinti di saperla lunga o gli aspiranti qualche cosa che non hanno letto niente, ma vorrebbero scrivere chissà che… per non parlare degli sgangherati intellettuali di provincia che parlano solo di classici. Ormai lo abbiamo sgamato che l’affermazione “leggo solo classici” è una copertura, chi dice così non entra in una libreria da secoli.

La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?

Semmai è eccitante, come ho già detto. Viene voglia di festeggiare, di fare la break dance, di ascoltare Powerslave degli Iron Maiden a tutto volume, ma di sicuro questa consapevolezza non è necessaria. La letteratura non è necessità, non è urgenza, non è chiamata alla armi, non è vocazione. Tutto quell’armamentario metaforico lì è fuffa, secondo me, sono formulette prive di significato. Una chiave inglese, una scala, un paio di calze servono a qualcosa, e possono essere anche oggetti con una loro bellezza, per carità, ma principalmente sono utili, il loro scopo è evidente, a seconda dei casi addirittura necessario. E invece la letteratura è una cosa inutile, non serve a niente. È superflua e per questo bellissima.

C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stesso “devo scrivere?”

Semmai “voglio” scrivere. Ma per provare cosa, poi… boh. Avrei potuto fare altro, sarei stato la stessa persona, forse. O forse no, nessuno può dirlo. Ma la letteratura, come dicevo su, è una cosa priva di senso, molto aleatoria, difficile da afferrare. È qualcosa che si ama alla follia e che non serve a niente. A parte che distruggere alcune vite; e salvarne altre.

Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?

Sicuramente è un vincolo, un limite, una prigione e un cilicio per tutti quelli che ancora si fanno le pippe con la letteratura di serie A e la contrappongono alla letteratura di genere. Ma contenti loro, contenti tutti… di sicuro la storia della letteratura è piena di scilinguagnolari che hanno riempito migliaia di pagine con milioni di parole superflue e che per una combinazione di fattori, tra cui non ultima una dose di psicopatologie assortite, sono state scambiate per arte immortale dall’esercito di bastian contrari artistoidi che popola le nostre città.

In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?

La letteratura non conta più come un tempo e dovremmo farcene una ragione. Sarebbe interessante starcene di nascosto a vedere l’effetto che fa, però, se per esempio questi youtubari che vendono milioni di copie cominciassero a parlare anche del mondo che li circonda, prendendo posizioni su quello che accade, intendo. Ma per farlo ci vuole coraggio, cultura, anche spregiudicatezza; e non tutti ne sono dotati. Bisognerebbe avere una preparazione di base e saper fare cose come indicare la posizione dell’Italia nella cartina geografica o ricordarsi in che secolo siamo, per non parlare delle tabelline e di altre nozioni che non tutti ormai possiedono.

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