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Danubio di Magris

– Claudio Magris, 1984 – Garzanti – pp. 474 – € 10,00.

Diario di viaggio, romanzo, saggio al seguito di un fiume, del fiume d’Europa, che più d’ogni altro luogo ha raccolto storie, aneddoti, dolori, tragedie, rivoluzioni.

«Forse scrivere significa colmare gli spazi bianchi dell’esistenza, quel nulla che si apre d’improvviso nelle ore e nei giorni, fra gli oggetti della camera, risucchiandoli in una desolazione e in un’insignificanza infinita. La paura, ha scritto Canetti, inventa dei nomi per distrarsi; il viaggiatore legge e annota nomi nelle stazioni che oltrepassa col suo treno, sugli angoli delle strade dove lo portano i suoi passi, e procede un po’ sollevato, soddisfatto di quell’ordine e di quella scansione del niente.» [p.36]

«Si vivono come contemporanei eventi accaduti da molti anni o da decenni, e si sentono lontanissimi, definitivamente cancellati, fatti e sentimenti vecchi di un mese. Il tempo si assottiglia, si allunga, si contrae, si rapprende in grumi che sembra di toccare con mano o si dissolve come banchi di nebbia che si dirada e svanisce nel nulla; è come se avesse molti binari, che s’intersecano e si divaricano, sui quali esso corre in direzioni differenti e contrarie. Da qualche anno il 1918 si è riavvicinato; la fine dell’impero absburgico, già svanita nel passato, è ritornata presente, oggetto di appassionate dispute. Non c’è un unico treno del tempo, che porta in un’unica direzione a velocità costante; ogni tanto s’incrocia un altro treno, che viene incontro dalla parte opposta, dal passato, e per un certo tratto quel passato ci è accanto, è al nostro fianco, nel nostro presente. Le unità del tempo – quelle che i manuali di storia classificano, per esempio, come il periodo quaternario o l’età augustea e le cronache della nostra esistenza come gli anni di liceo o l’era dell’amore per una persona – sono misteriose, difficilmente commensurabili.» [p.41]

«La persuasione, ha scritto Michelstaedter, è il possesso presente della propria vita e della propria persona, la capacità di vivere a fondo l’istante senza l’assillo smanioso di bruciarlo presto, di adoperarlo e usarlo in vista di un futuro che arrivi più rapidamente possibile e dunque di distruggerlo nell’attesa che la vita, tutta la vita, passi velocemente. Chi non è persuaso consuma la propria persona nell’attesa di un risultato che ha sempre da venire, che non è mai. La vita come mancanza, come deesse, annientata di continuo nella speranza che la difficile ora presente sia già trascorsa, affinché sia cessata l’influenza, superato l’esame, celebrato il matrimonio o registrato il divorzio, terminato un lavoro, arrivate le ferie, giunto il responso del medico. Se spera sperando / che vegnarà l’ora / de andar in malora / per più no sperar.» [p.72]

«Ma proprio per questo aveva capito che l’eccezionale, l’abnorme, il drammatico, vagheggiati da chi desidera un destino eroico e fuori del comune, hanno tutta la miseria della sofferenza e nient’altro.» [p.151]

«La letteratura è un sistema di manutenzione; non le bastano alcune righe assolute, ma ha bisogno di un ingranaggio produttivo, non importa se di pagine geniali o banali, per costruire su di esso la sua catena di distribuzione, il ciclo delle edizioni, recensioni, tesi di laurea, dibattiti, premi, manuali scolastici, conferenze.» [p.157]

«Ma la vera letteratura non è quella che lusinga il lettore, confermandolo nei suoi pregiudizi e nelle sue sicurezze, bensì quella che lo incalza e lo pone in difficoltà, che lo costringe a rifare i conti col suo mondo e con le sue certezze.» [p.183]

«La destra è patriottica, ma spara più spesso e volentieri sui propri connazionali che sugli invasori della patria.» [p.231]

«Come dice la targa, al posto dell’attuale edificio al numero 15 della Schwarzspanierstrasse, ora custodito da un’intrattabile portinaia che mi caccia subito a male parole, c’era, sino al 1904, la casa in cui è morto Beethoven […] Alla fine resta solo questo, lo sguardo indietro che si accorge del niente.» [p.242]

«La genericità della musica non cancella la struggente individualità della voce che la intona, come l’uniformità della vita non offusca l’intensità con la quale il singolo la vive.» [p244]

«Coltivava le cose ultime ed essenziali, consapevole che la persona è costituita dai valori in cui essa crede e che stampano nel suo volto l’impronta della loro nobiltà o della loro volgarità; l’anima si tinge delle immagini che in essa si formano, annotava, e il valore di ciascuno è in stretto rapporto col valore delle cose alle quali ha dato importanza. È forse l’intuizione più fulminea dell’essenza di un uomo, la chiave per leggere la sua storia e la sua natura: noi siamo ciò in cui crediamo, gli dèi che alberghiamo nella nostra mente, e questa religione, alta o superstiziosa, ci segna indelebile, s’imprime nei nostri lineamenti e nei nostri gesti, diviene il nostro modo di essere. Convinto dell’unità dell’universo, in tutte le sue incessanti trasformazioni, Marco Aurelio non permetteva tuttavia che l’attività della mente si confondesse col principio vitale, quasi mera secrezione fisiologica del cervello, ed esigeva ch’essa s’inalzasse a giudizio di quello stesso universo di cui era una parte provvisoria, anche se non gli mancava certo la grandiosa confidenza intellettuale con la materia di cui sono fatti la vita e il congiungimento animale che la produce, “attrito di membrane ed emissione di muco accompagnata da un certo fremito”». [p.247]

«Lo scrupoloso “teme senz’alcun motivo, sia prima sia dopo aver agito, di peccare, scorge il peccato anche là dove esso non sussiste affatto, si tormenta inutilmente per le cause più irrilevanti e, anche quando gli si assicura che una cosa è lecita, s’ostina a dubitare che possa essere illecita”.» [p.278]

«la vita appare tutta una perdita di tempo, una macchina deperibile. Come l’orologio che la scandisce, la realtà è un ingranaggio, un’organizzazione dello stillicidio, catena di montaggio che punta sempre e solo alla fase successiva. Chi ama la vita, deve forse amare il suo gioco di incastri, entusiasmarsi non solo per il viaggio verso isole lontane, ma anche per la trafila burocratica relativa al rinnovo del passaporto. La persuasione, riluttante alla mobilitazione generale quotidiana, è amore di qualcosa d’altro, che è più della vita e balena soltanto nella pausa, nell’interruzione, quando i meccanismi sono sospesi, il governo e il mondo sono in vacanza nel senso forte di vacare, vuoto, mancanza, assenza, ed esiste soltanto l’alta e ferma luce dell’estate. Il mondo, come dice Borges, è reale, ma perché deve anche rompere tanto i coglioni? Quello che si vorrebbe, in fondo, è una pretesa modesta, solo poter marinare ogni tanto la scuola, pur conservando il rispetto per gli insegnanti.» [p.375]

«Nella più alta parabola della poesia moderna, il poeta vuol essere un redentore, assumere su di sé il male dell’esistenza e ritrovare i veri nomi delle cose, cancellati dal falso linguaggio della comunicazione. Nell’inestricabile rete di mediazioni che avvolgono l’individuo, il poeta è una creatura anomala, che rifiuta di farsi una tana fra le pieghe di quella rete e si dibatte per squarciarla e raggiungere il fondo dell’essere, ch’essa nasconde. Spesso, come nel caso di Hölderlin o Rimbaud, l’avventura è mortale, perché oltre la rete non c’è nulla, e il poeta precipita in quel nulla.» [p.377]

« “Io faccio luce dietro me stesso” (P. Celan)». [p.379]

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