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Monologo d’un marinaio

Me ne andavo da tutto.

Dagli sguardi invadenti delle giornate d’estate,
dagli angoli bui in fondo alle strade,
dalla vista del cieco che mendica aiuto,
dalla fila alla mensa per il pasto serale.

Me ne andavo da quelli che hanno sempre ragione,
da quelli che tengono pronte parole per l’occasione,
me ne andavo dal fumo che annebbia la luce,
che confonde il cammino, che distoglie la voce,
ma era ormai troppo tardi,
l’avevo bevuto, respirato, assorbito, l’avevo finito.

Me ne andavo da te e la tua falsa morale,
dalla vita di sempre, gretta, fredda, banale,
me ne andavo da tutto credendo d’esser speciale.

Rincorrevo fantasmi in fuga all’imbrunire,
scambiavamo battute di fine umorismo,
eravamo felici, felici per poco,
chiedevamo d’esserlo almeno per gioco.

Me ne andavo da loro quando tutto finiva,
per non perdere tempo abbandonavo la riva.
Mollava gli ormeggi e salpava la nave,
accoglieva i suoi profughi,
era prassi normale,
accatastati giù in stiva, che nessuno lamenti
d’esser preda di crampi, d’ancestrali sgomenti.

Me ne andavo da tutto.

Da navi in balia di capitani ventura,
di mozzi che si cagano addosso,
di uomini che hanno spesso paura,
me ne andavo da tutto per ritornare,
per dire a quel tale “devo viaggiare,
lì c’è la nave, la mia ragazza,
la vecchia strada che mi sta ad aspettare”.

Me ne andavo da tutto
per ritornar sui miei passi e alle storie passate
che al freddo ricordo di un cicchetto smarrito
lasciavo dormire

per non doverle finire,
per non dovere finire.

Un commento

  1. donato donato

    …è molto bella!…ne hai consumate scarpe dai tempi di Nonno Gino!!!

    il finale, lo cambierei leggermente:

    Me ne andavo da tutto
    per ritornar sui miei passi e alle storie passate
    che dentro ad un freddo cicchetto smarrito
    lasciavo dormire

    per non doverle finire,
    per non riuscire a capire,
    per non dovere finire.

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