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Microcosmi di Magris

Microcosmi •••••
– Claudio Magris, 2019 – RCS – pp. 273 – € 9,90.

 

Abitare se stessi attraverso i luoghi abitati, nei loro dettagli, nelle sfumature, nelle sconfitte, nei passaggi di tempo. Come intravedere la propria anima negli occhi di chi ci ha attraversato il cammino, lasciandoci addosso una scia di vita, solitudine, abbandono e morte. Microcosmi è un testo potente che sfila via su molteplici binari. Strade fatte di storie, uomini e donne, vallate, chiese, cittadine fantasma. In ogni cosa, in ogni volto, su ogni cammino il tempo scalpellino pazientemente traccia il solco.
«La vita trova spesso il modo di vincerci, con i mezzi di volta in volta appropriati alla nostra debolezza, il vino, la droga, l’ambizione, la paura, il successo [p.41] … La sua leggenda è viva nella memoria degli scrittori e degli artisti che l’hanno conosciuto, ma i suoi frammenti, sprazzi ed epifanie non presentano quei vistosi e facili appigli cui la società letteraria ha bisogno di afferrarsi per sancire la gloria di un nome; egli non ha scritto nessun libro che s’imponga, come uno slogan fortunato, alla fama. A quest’ultima non interessa tanto il valore di una pagina, quanto la sua attitudine a diventare oggetto di consumo intellettuale, formula facilmente orecchiabile [p.44] … è un narratore clandestino; uno dei più clandestini, perché ha pubblicato dei libri alla chetichella, presso piccole case editrici impossibilitate a entrare nella circolazione culturale, ricevendo stima e apprezzamenti, ma non la notorietà e il biglietto d’ingresso nel club ufficiale e riconosciuto della letteratura, e perdendo la stuzzicante verginità del manoscritto nel cassetto [p.52] Viaggiare, come raccontare – come vivere – è tralasciare [p.71] … Come disse di se stesso, «sopportò paziente e scherzoso il veder morire a uno a uno tutti i suoi sogni… e in sì amara delusione non prese in odio né uomini né cose, né si stancò di amar la vita a lui prodiga soltanto di spine… Così avanzò negli anni in tranquilla malinconia e portò la croce dell’oscuro suo destino in parvenza d’uom comune, affine di non rendersi ridicolo qual genio incompreso». È difficile dire quale dei due, se il martire o lo scienziato, abbia avuto una sorte più dura [p.84] … Il racconto afferra una forma, la distingue, la strappa al fluire e all’oblio, la fissa [p.101] … rispettando la lingua, ossia la verità, s’irrobustisce pure la vita, si sta un po’ più fermi sulle proprie gambe e si è più capaci di fare quattro passi godendosi il mondo, con quella vitalità sensuale tanto più sciolta quanto più libera dai grovigli degli inganni e degli autoinganni [p.112] … Forse è questo il peccato originale, essere incapaci di amare e di essere felici, di vivere a fondo il tempo, l’istante, senza smania di bruciarlo, di farlo finire presto [p.122] … Il disincanto difende un’irriducibile capacità di incantarsi; la malinconica consapevolezza dell’ambiguità del cuore permette di conservare il timore e il tremore dinanzi alla vita, di amarne gli struggenti errori e di conoscerne i prosaici pesi, prendendoseli sulle spalle perché non pesino troppo su quelle del fratello [p.129] … Scrivere serve anche a questo, a distrarsi dalla morte … Forse lo stratagemma più efficace per eludere la pena di vivere è dedicarsi alla riesumazione delle vite altrui dimenticando la propria [p.209] … Narrare è guerriglia contro l’oblio e connivenza con esso; se non ci fosse la morte, forse nessuno racconterebbe [p.210] … Un uomo che muore è una piccola stella che collassa, acquistando densità e massa e attirando intorno a sé gli altri corpi della società [p.219] … L’addio è un coltello che fa male e divide il mondo come una mela, quel mondo che non sarà più un intero [p.259].

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