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Mirko Sabatino

Mirko Sabatino è l’ospite di oggi della rubrica “Cinque domande, uno stile”. Pugliese. Scrittore ed editor ha esordito con il romanzo “L’estate muore giovane” (2018, Nottetempo edizioni).

 

Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?

Una sensazione di giustezza. Quando succede, so che è quella l’idea giusta e non ce ne può essere un’altra. Questa convinzione sopravvive anche quando dopo l’entusiasmo iniziale comincio a guardare l’idea con sospetto, e a interrogarla. Ma niente da fare, è quella, e allora comincio a seguirla e a vedere dove mi porta.

La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?

Tutt’e due le cose. Non c’è da pensarci su, lo sento che dopo il punto finale non può esserci più nient’altro, e fare in modo di riprovare quella sensazione di compimento è una delle ragioni per cui continuo a scrivere. Nella vita non capita mai di finire qualcosa con una nettezza di quella qualità, una nettezza senza strascichi.

 

C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stesso “devo scrivere?”

Ho sempre saputo che volevo scrivere, e quando da piccolo non avevo le competenze per farlo, lo facevo nella mente; poi, più in là, raccontando a voce agli amici storie inventate sul momento.

 

Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?

Credo che lo stile sia mutevole, e si adatti al contenuto e al tono di quello che si scrive. Nonostante questo, c’è sempre un elemento di riconoscibilità che attraversa le varie opere di uno scrittore, e lo contraddistingue tra gli altri. Questo elemento è la voce dello scrittore, una componente dello stile che resta immutata.

 

In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?

Non credo che la letteratura incida direttamente sulla società, e oggi meno di ieri. Ma sono sicuro che incida molto sul singolo – e semmai poi indirettamente, e solo per alcuni aspetti, sulla società. La letteratura è un linguaggio uno a uno, intimo, sussurrato. Quello che fa è migliorare chi può migliorare poi il mondo, ma con strumenti diversi dalla letteratura.

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