Skip to content

Ceneri sul marmo


Qui, ai margini di una siepe, oltre un filare muto di cipressi che ondeggiano a ritmo lento, i miei passi si fermano e non fanno rumore.
La custodia sulle spalle, vuota, nasconde il ricordo di quello che è stato, mentre la memoria, la mia, pulsa sulle tempie e batte forte, come a voler uscire dalla testa.
E mi fa male.
Il ricordo di lei.
Il sangue non si rapprende.
Denso e scuro viene giù da ogni parte e ho paura a respirare l’aria intorno per non sentirla entrare dentro, adesso che non respira più.
Il sangue non si rapprende, ancora.
Lo vedo scendere ovunque.
Corre sulle mani e in me si confonde. Non avrei potuto contenere la musica. Tutta la musica degli anni caduti via in un fulmine. Non sarei stato in grado di trattenerla tra le dita smagrite che mi ritrovo, e m’accorgo di non essere in grado di fermare nemmeno il flusso caldo che spegne la vita attorno a me.
Una lama gelida nella quale tutto si specchia e si conclude e si deforma e ritorna in un bagliore di luce impresso negli occhi, ma è solo un ricordo.
Ho esagerato stanotte.
Ho fatto il pieno. Ho fatto scorta di roba buona e me la sono insaccata dentro, come mai m’era accaduto. Ho riempito i vuoti di un tempo smarrito, ho cercato di farlo mettendoci dentro più roba possibile, da coprire il fastidio di un andazzo insolente.
Ho visto gente accettare che il sole tramonti e ritorni puntuale ogni giorno, gente pronta a rifare la spesa e la fila al mercato centrale per portarsi sacchetti colmi del nulla e col nulla trascorrere bene la notte di ieri. Ho visto gente che vive per caso, senza grandi doveri, o crede che alzarsi al mattino, di primo mattino, valga tutta una vita e un sorriso d’amore. Ho visto gente morire che nemmeno si vede, brancolare nel buio di un giorno comune, spintonata da gente più morta di lei.
Così mi riempio di roba come un pollo farcito e copro gli sguardi di tutta la merda che punta il mio viso.
Un ribollire d’immagini e suoni. E la mia mente leggera va oltre le loro meschinità, anche se continuano a dire in giro che non so suonare, che m’atteggio, che ho indossato bene la maschera e che soltanto quella riesco a portare. Ma non ho cura del loro ciarlare. Del bisbiglio dei morti. Non ho paura, come non m’è accaduto d’averne quando mi dissero che lei m’avrebbe portato alla rovina, che c’era in ballo qualcosa di più di una puttanella da sottopalco e io stavo per mandarla in frantumi quella cosa. Frustrazioni da suoni mosci che non hanno capelli da far rizzare al suono potente di mille e più watt che riempiono la mente, come adesso la mia.
M’hanno buttato dentro, aggrappati alle parole, ma non saprei che dirvi. Sento soltanto il calore della sua anima disperdersi in gocce infinite che scendono giù per le mie braccia e nascondono il viso. Non credo d’averla ammazzata eppure non saprei dirvi il contrario. M’hanno sempre messo da parte nei momenti cruciali. Il musicista fantasma che non suona ma gracchia, che sputa sudore dal palco alle labbra di gente che non attende altro, questo rimango per loro.
E di me cosa rimane?
Il tono di voce irridente, il suono di un basso scaduto nel nulla, il vortice sordo che tutto divora, e il silenzio che scende oltre il sangue rappreso.
Adesso lo vedo, freddo, incrostato sulla mia pelle, addosso, a imbrattare i miei jeans, appiccicato alle scarpe stinte che lei m’ha regalato.
Adesso lo scorgo rigido e morto come tutt’intorno, niente sudore da sputare al vento, niente saltelli da scambiarci le strade, niente spinelli da fumarci nel latte, niente bandiere da pisciarci dentro, cenere e cenere e cenere da spargere lieve sul marmo, questo rimane.
E il marmo nasconde il respiro di lei.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.