Cinque domande, uno stile

Debora Omassi

Nella puntata di oggi di “Cinque domande, uno stile” è ospite Debora Omassi. Milanese, esordisce con la raccolta “Fuori si gela” (2016, Fernandel) cui segue il romanzo “Libera uscita” (2019, Rizzoli).

 

 

Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?

L’idea, quella con la I maiuscola, giunge a me sempre per caso, di solito dopo aver visto una particolare fotografia, è un’istante. Se quell’istante poi si ripresenta puntuale, giorno dopo giorno, la storia inizia a evolversi, a prendere forma, si aggiungono cose, e altre evaporano. La sensazione più bella arriva però quando l’idea è maturata abbastanza per essere scritta, si apre il file word e inizio non solo a vederla scorrere, ma anche a digitare sui tasti…

La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?

Il punto, quello che determina la fine di un racconto, un romanzo, è evidente, l’urgenza della scrittura è terminata, lo sento dentro, una specie di sollievo.

C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stessa “devo scrivere?”

Avviene ogni volta che metto il punto finale. Ogni volta che l’immagine che ho in mente mi tormenta. Lo dico spesso, per me la scrittura è un bambino dormiente: quando si sveglia e si mette a urlare non posso fare altro che correre da lui, nutrirlo, ricominciare a scrivere…
Direi che è una continua affermazione, ed è determinata dall’urgenza…

Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?

Non credo di essere abbastanza matura, né come persona, né come scrittrice per affermarlo.

In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?

La scrittura per me ha il compito di insinuare nel lettore domande. Questo potrebbe incidere: mettere in moto le menti dei lettori, senza fornire risposte preconfezionate, senza instillare idee precise e radicali che non permettono al lettore di ragionare con la propria testa…direi che a volte mettersi a leggere comodi un bel libro di narrativa, lasciarsi trasportare da una storia che non ha le pretese di insegnarci per forza qualcosa, insomma, entrare in un altro mondo per staccare un po’ da questo, non sarebbe male…

 

Massimiliano Città, nasce in quel di Cefalù (chè Castelbuono, dove la famiglia risiede, non ha ospedali e le levatrici hanno smesso d’esser tali) in un’afosa giornata di luglio del 1977 con un blues in Eb sulla pelle. Inciampa e si rialza nel cortile di nonna, dove fantasmi e amici iniziano ad affollare la mente. Viaggia da solo. Cresce artisticamente nel gruppo Kiroy, accolita palermitana di scrittori, pittori e musici. Nel 2004, sotto lo pseudonimo di VagabondoEbbro, pubblicato da CUT-UP Edizioni di La Spezia, esce il racconto «Delirio di un Assassino», inserito nella raccolta “Lost Highway Motel”. Ha pubblicato «Keep Yourself Alive» (2009, Lupo Editore), «Tremante» (2018, Castelvecchi) «Rumori» (2017, Bookabook), «Incisioni» (2023, L’Erudita) e «Agatino il guaritore» (2024, Il ramo e la foglia). Sul blog massimilianocitta.it conduce periodicamente alcune rubriche letterarie tra cui «Cinque domande, uno stile».

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