Cinque domande, uno stile

Fabio Stassi

“Cinque domande, uno stile”, ospita lo scrittore Fabio Stassi.

Di origine siciliane, si narra scriva nella tratta ferroviaria Viterbo-Roma. Esordisce nel 2006 con “Fumisteria” (GBM, romanzo che si aggiudicherà il premio Vittorini Opera Prima 2007).  Ha pubblicato per Minimum fax (2007, “È finito il nostro carnevale” – 2008, “La rivincita di Capablanca” – 2010 “Holden Lolita Živago e gli altri. Piccola enciclopedia dei personaggi letterari (1946-1999)”. Nel 2012 passa alla casa editrice siciliana Sellerio, con cui pubblica “L’ultimo ballo di Charlot”, 2012 (Premio Selezione Campiello 2013, Premio Sciascia Racalmare, Premio Caffè Corretto Città di Cave, Premio Alassio), “Come un respiro interrotto”, 2014, “La lettrice scomparsa”, 2016 e l’ultimo “Ogni coincidenza ha un’anima”, 2018.

 

Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?

Per me è una sensazione fisica. Una specie di riflesso nel palato. Io lo chiamo il sapore dei capperi, lo devo sentire in bocca prima di iniziare a scrivere.

La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?

Sapere come chiudere è altrettanto importante quanto trovare il tono iniziale. Ma spesso la consapevolezza arriva dopo. Si continua a scrivere e non ci si accorge che il racconto era già finito.

C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stesso “devo scrivere?”

Risponderei di no, perché non mi ricordo un periodo in cui non ho avuto desiderio di scrivere. Credo per me sia accaduto molto presto, intorno ai sette anni.

 

Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?

Lo è. Lo stile, nella scrittura, equivale alla voce, e non si fa altro che cercare la propria. La ricerca stilistica è la ricerca di sé stessi, credo. E la natura di questa ricerca è vincolante in partenza. Ma i vincoli, appunto, sono fatti per essere superati, perché l’immaginazione si sforzi. Così la metrica per i poeti, o i quadrati di una scacchiera per gli scacchisti.

In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?

La letteratura non incide più nella società, o almeno sicuramente molto meno di un tempo, a giudicare anche dalle polemiche di una volta. Ma non bisogna abdicare dall’immaginazione. Resterà sempre uno scandalo, rispetto a ogni potere, finché ci mostrerà semplicemente i territori delle possibilità, e che può esistere sempre un altro modo di stare al mondo o di concepire i rapporti umani.

 

Massimiliano Città, nasce in quel di Cefalù (chè Castelbuono, dove la famiglia risiede, non ha ospedali e le levatrici hanno smesso d’esser tali) in un’afosa giornata di luglio del 1977 con un blues in Eb sulla pelle. Inciampa e si rialza nel cortile di nonna, dove fantasmi e amici iniziano ad affollare la mente. Viaggia da solo. Cresce artisticamente nel gruppo Kiroy, accolita palermitana di scrittori, pittori e musici. Nel 2004, sotto lo pseudonimo di VagabondoEbbro, pubblicato da CUT-UP Edizioni di La Spezia, esce il racconto «Delirio di un Assassino», inserito nella raccolta “Lost Highway Motel”. Ha pubblicato «Keep Yourself Alive» (2009, Lupo Editore), «Tremante» (2018, Castelvecchi) «Rumori» (2017, Bookabook), «Incisioni» (2023, L’Erudita) e «Agatino il guaritore» (2024, Il ramo e la foglia). Sul blog massimilianocitta.it conduce periodicamente alcune rubriche letterarie tra cui «Cinque domande, uno stile».

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