Francesca Mazzucato
Per la consueta rubrica “Cinque domande, uno stile” oggi è ospite Francesca Mazzucato. Scrittrice, saggista, vive in movimento (Bologna, Liguria, Svizzera). Ha pubblicato tra i tanti Hot Line (1996, Einaudi), Relazioni scandalosamente pure (1998, Marsilio, finalista al premio Fiesole e al premio Un libro per l’estate), Amore a Marsiglia (1999, Marsilio), Diario di una blogger (2003, Marsilio, finalista al premio Argentario Narrativa Donna), Strani i percorsi che sceglie il desiderio (2017, Castelvecchi).
Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?
È un momento di massima confusione perché è importante, vorrei dire fondamentale, ma completamente inutile. Le buone idee, le idee che si presentano necessarie e inevitabili non valgono niente se non segue una costanza noiosa che permette la realizzazione. Anzi, sono come una passione d’amore incontrollata e indisciplinata, sono l’attimo che ribalta. C’è il rischio altissimo di rimanere a terra.
La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?
È necessaria. Spesso si è affezionati a parole e personaggi e non si vuole concludere.
C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stesso “devo scrivere?”
Potrei dire come mille altri, da bambina. E sarebbe vero. Sapevo che volevo scrivere e volevo parlare le lingue, ed è stato quello che ho fatto essendo anche una insegnante di inglese in Italia e all’estero. Ma insegnare inglese è un “dare” che si realizza in una comunicazione binaria (insegno one-to-one) Il feedback immediato riaggiusta subito. Scrivere permette lunghi fraintendimenti, e provoca speranze, illusioni, mancate condivisioni. Può essere un’estasi o un disastro.
Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?
Lo stile non è statico, è materia variabile, fluida e flessibile. Dobbiamo farlo diventare vincolo, coltivarlo e adeguarlo a tema, tempi e ritmi narrativi. Questo è un compito difficile, noioso, ingrato ma fondamentale.
In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?
Credo che scrivere qualsiasi cosa sia sempre un gesto politico. Anche rispondere a lei adesso, la scelta di farlo e come farlo lo è. La letteratura incide poco nelle società perché siamo apatici, drogati di social, annoiati e distratti. Ma lo ha fatto molto, moltissimo e ci consente di vivere di rendita. Credo che tornerà a farlo, se non lo credessi, guarderei solo le stories su Instagram. Credo che tornerà a farlo a partire dal mio prossimo libro, ad esempio (qui ci metta una faccina con espressione a sua scelta).
[the_ad id=’4515′]
Massimiliano Città
Massimiliano Città, nasce in quel di Cefalù (chè Castelbuono, dove la famiglia risiede, non ha ospedali e le levatrici hanno smesso d’esser tali) in un’afosa giornata di luglio del 1977 con un blues in Eb sulla pelle. Inciampa e si rialza nel cortile di nonna, dove fantasmi e amici iniziano ad affollare la mente. Viaggia da solo. Cresce artisticamente nel gruppo Kiroy, accolita palermitana di scrittori, pittori e musici. Nel 2004, sotto lo pseudonimo di VagabondoEbbro, pubblicato da CUT-UP Edizioni di La Spezia, esce il racconto «Delirio di un Assassino», inserito nella raccolta “Lost Highway Motel”. Ha pubblicato «Keep Yourself Alive» (2009, Lupo Editore), «Tremante» (2018, Castelvecchi) «Rumori» (2017, Bookabook), «Incisioni» (2023, L’Erudita) e «Agatino il guaritore» (2024, Il ramo e la foglia). Sul blog massimilianocitta.it conduce periodicamente alcune rubriche letterarie tra cui «Cinque domande, uno stile».