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Tutti mi chiamano bionda, ma bionda io non sono: porto i capelli neri, porto i capelli neri


Nemmeno ve ne accorgete, ma vi stanno osservando. E più incauti vi muovete nella vostra quotidianità, più vi affannate a darci dentro nelle beghe di ogni giorno, nei salassi della vita, nelle bollette in fila da pagare, nelle mogli che vi cornificano col sorriso da santarelline, negli amici che non attendono altro che le vostre lacrime caschino sul piatto, più fate tutto questo, cioè vi distraete da loro, più detengono il controllo delle vostre vite.
Vite, direi parvenze, è molto più preciso.
Non esistono vite che loro non vogliano tali, dunque siete, siamo, sottinteso, parvenze della loro volontà. E non sono dei, niente affatto, ma controllori. Qualcuno incomincia a sussurrare che io stia diventando matto, crede che non senta, ma ho orecchie vigili, come da giovane mi muovevo in trincea, taccuino a portata di mano, pronto a raccontare. Allora ero disilluso e carico d’adrenalina, allora l’amore per la vita, la vita stessa mi distraeva da loro, e non vedevo oltre il palmo del mio naso. Mi specchiavo nella mia sete di potenza, nella voglia di assaporare il mondo, e distraendomi a questa maniera non scorgevo il riflesso dei loro occhi puntati su di me. Come su di voi del resto, sebbene in pochi credo possano fregiarsi d’aver avuto una vita intensa come la mia. Nessun senso avrebbe avuto tutto quel mio scrivere, le parole, i paragrafi, capitoli messi in fila uno dopo l’altro, se la mia pelle non avesse portato i segni di quelle esperienze, se la mia anima non si fosse nutrita di esse. Ho vissuto nonostante per gran parte della mia vita, distratto evidentemente da essa, non mi sia accorto di come loro mi osservavano, carpivano ogni mia mossa, anticipavano ogni pensiero, qualsiasi bagliore di volontà o assuefazione nei miei occhi loro lo vedevano bene, prima che io stesso potessi accorgermene. Mi ci è voluto tanto, forse troppo tempo, ma alla fine li ho stanati. Ed eccoli lì, tutti fuori, che passeggiano incuranti accanto a me, mi tagliano la strada, sorridono al mio saluto, fanno la spesa nella mia solita bottega, fumano persino gli stessi sigari del vicino, e tutto questo con estrema naturalezza, come se io non mi renda conto. Come se io sia uno di voi. Cieco e stolto, incapace di accorgermi delle loro trame. Li ho visti bene, negli occhi dico, ma sono abbastanza furbo da depistarli. Loro, sebbene vedano, non riescono a sapere ancora. Non gli è dato entrare nella mia mente, camminare sui miei pensieri, passando da una sinapsi all’altra. Non ne sono capaci ancora. Eppure ho il timore che in qualche modo possano giungere a quel passo. Disastroso passo del progresso tecnologico che indurrà la razza umana all’auto-estinzione. Io so bene di fermarmi prima che loro mi inducano a farlo.
Ho scelto bene di farlo.
Liberamente.
Libero da ogni fardello, inganno, trama. In qualche modo ritengo che anche lei, la mia Mary, sia coinvolta, forse a sua insaputa. Eppure non la considero capace di ordire complotti alle mie spalle. Lei mi ama, ma non sono ancora certo che abbia la forza mentale per contrapporsi a loro. Certo, l’altro giorno, quando io giochicchiavo col mio fucile e lei con gli occhi fuori dalle orbite mi chiedeva cosa facessi, ho notato alcuni atteggiamenti strani, non naturali per quello che m’è dato di conoscere di lei. Ma so bene come l’uomo, a qualsiasi livello, nonostante ciò che dica, è ben capace d’ingannare. Ne ho costruite di maschere lungo il mio viaggio letterario, e contrapposizioni, e mani invecchiate dal tempo tese a trattenere a denti stretti una fiocina che invano scaglieremo in mare, Dunque, anche lei, la mia Mary, potrebbe colpirmi alle spalle, ma voglio ostinarmi a credere che non sia così. Sebbene abbia richiuso a chiave il mio fucile e abbia pensato bene di farla sparire quella chiave, almeno così lei crede. Tutti dovrebbero sapere “come è meglio morire nel periodo felice della giovinezza non ancora disillusa, andarsene in un bagliore di luce, che avere il corpo consunto e vecchio e le illusioni disperse”. Eppure alcuni lo tacciono a se stessi e continuano inesorabilmente a farsi corrodere dal tempo e dal grande inganno. Ci si attende sempre di ritrovarsi vittime davanti al fatto compiuto per poter così piagnucolarsi addosso. Io non mi sento affatto avvilito dalla vita, né per questo ho paura della morte. Morire è la cosa più semplice che possa accadere ad un essere umano. Vivere è il difficile, farlo a modo proprio. Mi si è sempre detto con cipiglio intellettuale che sono un uomo spregevole e violento, uno che ammira gli spettacoli di sangue. Un fanatico dell’assassinio del debole. Ma non ho mai considerato un toro un debole, non ho mai visto nell’atto tragico della corrida un assassinio, bensì un sacrificio. L’animale si prostra al talento del toreador. E sconfitto si lascia morire, per non essere umiliato. Ecco, l’uomo è il toro, il toreador il tempo che infligge a quell’essere istupidito dalla fissa per un colore la giusta punizione. La morte per tutti quelli che hanno avuto paraocchi e sguardo rivolto in basso nella vita, per tutti quelli che si sono nascosti ai margini della battaglia, per quelli che si sono dati alla macchia e non hanno avuto la forza e il necessario coraggio per combattere a petto nudo contro le avversità.
A morte i vigliacchi.
E loro questo lo sanno, l’appuntano nei loro taccuini che non narrano storie di guerra ma battaglie, miseri conflitti quotidiani di casalinghe, operai, lavoratori che devono essere tenuti sotto controllo per il mantenimento necessario dell’ordine. Uno come me, uno che ha vissuto a viso aperto è più difficile da mettere in gabbia, loro vorrebbero ma non sanno che io so. E li conosco e li vedo oltre i loro abiti borghesi, con la mente da sbirri controllare i miei passi. E credo che anche Mary abbia ceduto alla volontà di queste organizzazioni che mirano a privarci di ogni libertà, anche di pensiero. Verranno giorni in cui il sol pensare le mie parole sarà una condanna a morte, verrà il giorno in cui soltanto pensare diventerà un atto rivoluzionario, perché l’unico atto che distinguerà i vivi dai morti.
Ho scritto tanto, e talvolta a sproposito, ho vissuto tanto e molto spesso avrei voluto farne a meno, così come ho amato per ciò che ero capace di dare. Quelli della mia generazione perduta sono finiti prima di me in una parabola che inesorabilmente li ha visti sconfitti. Io rimango qui, la vita non m’ha scalfito d’un graffio, m’è passata dentro e m’ha riempito lo spirito. Confesso che il mio corpo non è più lo stesso, confesso che avverto il peso degli anni sulle spalle, confesso di sentirmi piegato lungo il cammino, e per tutto questo so che non mi consegnerò a loro come vorrebbero.
Morto.
Se vorranno venirmi a prendere lo facciano pure. Sono io che decido, come ho sempre fatto. In questo mattino d’estate, una come le altre, vorrei urlargli contro che non sono riusciti a prendermi, ma Mary dorme in camera da letto e non voglio disturbarla.

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