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Il mestiere di vivere di Pavese

Il mestiere di vivere •••••
– Cesare Pavese, 2010 – Einaudi – pp. 570 – € 16,00.

 

Scorrere le pagine di un libro, avviarsi verso la conclusione con la mestizia di sapere che oltre l’ultima pagina non si concluderà una semplice storia ma il respiro dello stesso autore. Testo potente, ingarbugliato, confuso, pieno di rimandi, ritorni, conferme e autoaffermazioni, sconfitte e aspirazioni d’oblio. Frammenti d’esistenza di una delle menti più illuminate della nostra letteratura. Poeta, profondamente poeta. Dolente, profondamente addolorato e alieno alla sua contemporaneità mondana. Eppure superbamente ironico, sprezzante talvolta, acuto, anticipatore, letterato di grande spessore.
Il mestiere di vivere è un compendio. I dolori di un giovane non corrisposto, l’amarezza della solitudine, le riflessioni d’ampio respiro che da essa scaturiscono, l’amore per la parola, da piegarsi, da possedere in ogni forma, la ricerca spasmodica di uno stile poetico, lo scolpire continuo, quotidiano, nei pensieri e nella forma, la riflessione sull’esistenza, sulla sua vanità, sulla sua devastante necessità. D’esserci, d’essere, per poterne morire. Un testo da tenere accanto, da portare con sé, così come Pavese ha fatto, fino alla fine.

“10 ottobre 1935 – in poesia non è tutto prevedibile e componendo si scelgono talvolta forme non per ragione veduta ma ad istinto; e si crea, senza sapere con definita chiarezza come. […] 17 ottobre – Perché una cosa sola (tra le molte) mi pare insopportabile all’artista: non sentirsi più all’inizio […] 17 febbraio 1936 – Ma tenersi in equilibrio, perché che cosa ha l’uomo da vivere, se non appunto ciò che ancora non vive? […] 24 aprile – Bisogna aver sentito la smania dell’autodistruzione. Non parlo del suicidio: gente come noi innamorata della vita, dell’imprevisto, del piacere di «raccontarla», non può arrivare al suicidio se non per imprudenza. E poi, il suicidio appare ormai come uno di quegli eroismi mitici, di quelle favolose affermazioni | di una dignità dell’uomo davanti al destino, che interessano statuariamente, ma ci lasciano a noi. L’autodistruttore è un tipo, insieme più disperato e utilitario. L’autodistruttore si sforza di scoprire entro di sé ogni magagna, ogni viltà, e di favorire queste disposizioni all’annullamento, ricercandole, inebriandosene, godendole. L’autod. è in definitiva più sicuro di sé di ogni vincitore del passato; egli sa che il filo dell’attaccamento all’indomani, al possibile, al prodigioso futuro, è un cavo più robusto – trattandosi dell’ultimo strattone – che non so quale fede o integrità. L’autodistr. è soprattutto un commediante e un padrone di sé. Egli non lascia nessuna opportunità di sentirsi e di provarsi. È un ottimista. Spera ogni cosa dalla vita, e si va accordando a rendere sotto le mani del caso futuro i suoni più acuti o significativi. L’autodistrutt. non può sopportare la solitudine. Ma vive in un pericolo continuo; che lo sorprenda una smania di costruzione, di sistemazione, un imperativo morale. Allora soffre senza remissione, e potrebbe anche uccidersi […] – l’unico modo di sfuggire all’abisso è di guardarlo e misurarlo e sondarlo e discendervi […] 17novembre 1937 – e sopratutto ricordarsi che far poesie è come fare l’amore: non si saprà mai se la propria gioia è condivisa […] Il compenso di aver tanto sofferto è che poi si muore come cani […] 1 dicembre – La mia felicità sarebbe perfetta, se non fosse la fuggente angoscia di frugarne il segreto per ritrovarla domani e sempre. Ma forse confondo: la mia felicità sta in quest’angoscia. E ancora una volta mi ritorna la speranza che forse domani basterà il ricordo […] 19 gennaio 1938 – La vera festa per una donna non è andare a letto e godersi il membro – ma carezzare un tale e farsi accarezzare e montargli il capriccio e rifiutarsi. Questo piacere diventa poi delirante, se quel r tale è disperatamente innamorato. E si capisce: chiavando si chiava e basta – una donna ha tutto da perdere; ma, troieggiando, si gode coi sensi, si asservisce l’uomo, si trionfa del suo desiderio, si cresce di valore sessuale e si sa che domani, volendo, si potrà sempre fottere. Cosa che per l’uomo, non è altrettanto sicura […] 17 giugno – L’effetto del dolore (disgrazie, sofferenze, quando siano mentali) è di creare un filo spinato nella mente e costringere i pensieri a evitare certe aree, per sfuggire alle angosce che vi regnano. In questo senso, soffrire limita l’efficienza spirituale. Che, finito il dolore, la propria potenza si trovi accresciuta non è poi tanto gloriosamente vero, anzitutto perché un certo indolenzimento nell’area resta sempre, e una tendenza a evitare il malo passo, e poi perché, se durante la pena non si è acquistato nulla, non si vede come si possa acquistare dopo, nella normalità. Il fatto è questo, che si è acquistata esperienza: la cosa cioè più astratta e vana. Quanto alla tempra, la si è solo indebolita. Nessun carattere ha dopo un dolore la tempra che aveva prima. Come nessun corpo dopo una ferita ha la salute di prima, se non un indurimento esacerbato: il famoso stato corneo. Tutti questi grandi spiritualisti parlano in fondo di risultati materiali: nozioni su se stesso, sulla vita, massime che ci si dà, ecc. L’efficienza, la tempra, la «portata del ponte», ognuno vede chiaramente che col dolore subisce soltanto una limitazione d’attività, e quando ritorna ad avere campo libero non ha nemmeno il vantaggio di essersi rinvigorita con un riposo – dato che soffrire travaglia e lima anche se non lascia libero gioco […] 19 settembre – Gli uomini che hanno una tempestosa vita interiore e non cercano sfogo o nei discorsi o nella scrittura, sono semplicemente uomini che non hanno una tempestosa vita interiore. Date una compagnia al solitario e parlerà più di chiunque […] 29 settembre – Si odia ciò che si teme, ciò quindi che si può essere, che si sente di essere un poco. Si odia se stessi. Le qualità più interessanti e fertili di ciascuno, sono quelle che ciascuno più odia in sé e negli altri. Perché nell’odio c’è tutto: amore, invidia, ignoranza, mistero e ansia di conoscere e possedere. L’odio fa soffrire. Vincere l’odio è fare un passo nella conoscenza e padronanza di sé, è giustificarsi e quindi cessare di soffrire. Soffrire è sempre colpa nostra […] 9 ottobre – L’arte di sviluppare i motivetti per risolverci a compiere le grandi azioni che ci sono necessarie. L’arte di non farci | mai avvilire dalle reazioni altrui, ricordando che il valore di un sentimento è giudizio nostro poiché saremo noi a sentircelo, non chi interviene. L’arte di mentire a noi stessi sapendo di mentire. L’arte di guardare in faccia la gente, compresi noi stessi, come fossero personaggi di una nostra novella. L’arte di ricordare sempre che, non contando noi nulla e non contando nulla nessuno degli altri, noi contiamo più di ciascuno, semplicemente perché siamo noi. L’arte di considerare la donna come la pagnotta: problema d’astuzia. L’arte di toccare fulmineamente il fondo del dolore, per risalire con un colpo di tallone. L’arte di sostituire noi a ciascuno, e sapere quindi che ciascuno s’interessa soltanto di sé. L’arte di attribuire qualunque nostro gesto a un altro, per chiarirci all’istante se è sensato. L’arte di fare a meno dell’arte. L’arte di essere solo […] 8 novembre – Non si può conoscere il proprio stile, e usarlo. Si usa sempre uno stile preesistente, ma in un modo istintivo che ne plasma un altro attuale. Lo stile presente si conosce solo quando è passato e definitivo e si torna a scorrerlo interpretandolo | cioè chiarendosi come è fatto. Ciò che stiamo scrivendo è sempre cieco. Se ci viene bene (se cioè dopo, ritornandoci, lo stimeremo riuscito) non possiamo per il momento sapere. Semplicemente lo viviamo e va da sé che le astuzie, gli accorgimenti che vi spendiamo, sono un altro stile composto in precedenza, estraneo alla sostanza di quello attuale. Scrivere è consumare i cattivi stili adoperandoli. Ritornare sul già scritto per correggere è pericoloso: si giustapporrebbero cose diverse. Dunque non c’è tecnica? C’è, ma il nuovo frutto che conta è sempre un passo avanti sulla tecnica che conoscevamo e la sua polpa è quella che ci nasce via via sotto la penna a nostra insaputa. Che noi conosciamo uno stile, vuol dire che ci siamo resa nota una parte del nostro mistero. E che ci siamo vietato di scrivere d’or innanzi in questo stile. Verrà il giorno in cui avremo portato alla luce tutto il n/mistero e allora non sapremo più scrivere, cioè inventare lo stile […] 10 novembre – La letteratura è una difesa contro le offese della vita […] 3 dicembre – Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra – che già viviamo – e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi […] 15 maggio 1939 – La politica è l’arte del possibile. Tutta la vita è politica […] 5 novembre – Perché ci è ostico uno scrittore nuovo? Perché non sappiamo ancora evocare intorno a lui tutto il quadro contemplativo di una società in cui abbandonarci fiduciosi […] 12 dicembre – Ogni artista cerca di smontare il meccanismo della sua tecnica per vedere come è fatta e per servirsene, se mai, a freddo. Tuttavia, un’opera d’arte riesce soltanto quando per l’artista essa ha qualcosa di misterioso. Naturale: la storia di un artista è il successivo superamento della tecnica usata nell’opera precedente, con una creazione che suppone una legge estetica più complessa. L’autocritica è un mezzo di superare se stessi. L’artista che non analizza e non distrugge continuamente la sua tecnica è un poveretto […] 3 gennaio 1940 – C’è un tipo abituato a pensare che niente gli sia dovuto, nemmeno in nome di un lavoro o di una fatica durata. Niente dagli altri sotto nessun pretesto, nemmeno dai beneficati, e quindi non dà niente agli altri se non per suo piacere. Sono io […] 2 luglio – Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi […] 5 agosto – Segno certo d’amore è desiderare di conoscere, di rivivere, l’infanzia dell’altro […] 30 ottobre – Il dolore non è affatto un privilegio, un segno di nobiltà, un ricordo di Dio. Il dolore è una cosa bestiale e feroce, banale e gratuita, naturale come l’aria. E impalpabile, sfugge a ogni presa e a ogni lotta; vive nel tempo, è la stessa cosa che il tempo; se ha dei sussulti e degli urli, li ha soltanto per lasciar meglio indifeso chi soffre, negli istanti che seguiranno, nei lunghi istanti in cui si riassapora lo strazio passato e si aspetta il successivo. Questi sussulti non sono il dolore propriamente detto, sono istanti di vitalità inventati dai nervi per far sentire la durata del dolore vero, la durata tediosa, esasperante, infinita del tempo-dolore. Chi soffre è sempre in stato d’attesa – attesa del sussulto e attesa del nuovo sussulto. Viene il momento che si preferisce la crisi dell’urlo alla sua attesa. Viene il mo|mento che si grida senza necessità, pur di rompere la corrente del tempo, pur di sentire che accade qualcosa, che la durata eterna del dolore bestiale si è un istante interrotta – sia pure per intensificarsi. Qualche volta viene il sospetto che la morte – l’inferno – consisterà ancora del fluire di un dolore senza sussulti, senza voce, senza istanti, tutto tempo e tutto eternità, incessante come il fluire del sangue in un corpo che non morirà più. La forza dell’indifferenza! – è quella che ha permesso alle pietre di durare immutate per milioni d’anni […] 4 maggio 1942 – Nell’inquietudine dello sforzo di scrivere, ciò che sostiene è la certezza che nella pagina scritta resta qualcosa di non detto […] 17 settembre – Viviamo nel mondo delle cose, dei fatti, dei gesti, che è il mondo del tempo. Il nostro sforzo incessante e inconsapevole è un tendere fuori del tempo, all’attimo estatico che realizza la nostra libertà. Accade che le cose i fatti i gesti – il passare del tempo – ci promettono di questi attimi, li rivestono, li incarnano. Essi divengono simboli della nostra libertà. Ognuno di noi ha una ricchezza di cose fatti e gesti che sono i simboli della sua felicità – essi non valgono per sé, per la loro naturalità, ma c’invitano ci chiamano, sono simboli. Il tempo arricchisce meravigliosamente questo mondo di segni, in quanto crea un gioco di prospettive che moltiplica il significato super temporale di questi simboli. Che è quanto dire che non esistono simboli negativi, pessimistici, o semplicemente banali: il simbolo è sempre attimo estatico, affermazione, centro […] 28 febbraio 1944 – Sono più le cose di cui non scriviamo che quelle di cui scriviamo. Come la massa degli uomini si muove nel circolo delle sue preoccupazioni e vive sanamente i più diversi problemi, cosi tu, sia pure malato di letteratura, non tratti altro per scritto che questioni letterarie e per tutto il resto ti muovi fra le tue preoccupazioni vivendole sanamente e coscienziosamente. Ecco come si può smetterla con la stupida polemica contro i letterati e sostenere che anch’essi sono uomini. Per lo meno quanto gli analfabeti o quelli che non scrivono […] 17 giugno – Si ottiene quel che non si cerca. Sempre […] 17 luglio – Vita dell’inconscio. L’opera che si riesce a fare, è sempre un’altra cosa. Si va avanti, di altra cosa in altra cosa, e l’io profondo è sempre intatto; se appare spossato, è soltanto la fatica che lo scuote e confonde come un’acqua che s’intorbida, ma poi si schiarisce e torna, ambiguo, a trasparirne il fondo uguale. Non c’è modo di portarlo alla superficie; la superficie è sempre soltanto un gioco vano di riflessi d’altre cose […] 30 luglio – Ciò che accade sentendo qualunque fatto naturale: il profumo di un fiore, lo stormire d’un’acqua, la delizia di un’uva. La musica è la più materiale delle arti** giacché immateriale è soltanto il pensiero e nella musica non ce n’è di cosciente. Essa tende a vestire la forma delle sue sensazioni come un simbolo, ma il paragone è troppo largo e non lega mai. Difatti una musica compie perfettamente la sostituzione del 17 luglio di una cosa alla natura: al punto che nulla in natura vi equivale […] 1 marzo 1946 – Fessi gli etnologi che credono basti accostare le masse alle varie culture del passato – e del presente – per avvezzarle a capire e tollerare e uscire dal razzismo, dal nazionalismo, dall’intolleranza. Le passioni collettive sono mosse da esigenze d’interessi che si travestono di miti razziali e nazionali. E gli interessi non si cancellano […] 4 aprile – Ogni mattino – sotto forma di tanfo, umidiccio, tepore, lasciamo come uno stampo, come un corpo astrale, la stanchezza nel letto […] 27 giugno – tentazione dello scrittore – Aver scritto qualcosa che ti lascia come un fucile sparato, ancora scosso e riarso, vuotato di tutto te stesso, dove non solo hai scaricato tutto quello che sai di te stesso, ma quello che sospetti e supponi, e i sussulti, i fantasmi, l’inconscio – averlo fatto con lunga fatica e tensione, con cautela di giorni e tremori e repentine scoperte e fallimenti e irrigidirsi di tutta la vita su quel punto accorgersi che tutto questo è come nulla se un segno umano, una parola, una presenza non lo accoglie, lo scalda – e morir di freddo – parlare al deserto – essere solo notte e giorno come un morto […] 21 lugio 1947 – Si aspira ad avere un lavoro, per avere il diritto di riposarsi […] 6 agosto – L’interesse di un’opera per chi la fa – e anche per chi la capisce – è di vederla formarsi tra tendenze contrastanti, comporre e innestare queste tendenze, dar loro un senso formale – e il massimo dei contrasti è fra l’inconscio e il conscio (esigenze sociali, comunicative, etiche, ecc.) Un’opera di mero inconscio – mero automatismo – è irrespirabile, o un mero scherzo […] 10 agosto – I problemi che agitano una generazione si estinguono per la generazione successiva non perché siano stati risolti ma perché il disinteresse generale li abolisce […] 19 novembre 1948 – Nuova prova che per conoscere bisogna agire, per conoscere il mondo bisogna costruirlo. Attento a non credere che costruire significhi sovvertire, cambiare a tutti i costi. La scienza della realtà è la scienza del possibile, del progressivo, non dell’agitarsi violento e vano […] 3 aprile 1949 – Dopo Cr. e dopo il Logos, la natura si fa staccata dalla sorgente mistica della forza e della vita (che viene ora dallo Spirito). E pronto il campo per la scienza moderna che constata e codifica la materialità l’indifferenza della natura […] 25 marzo 1950 – Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla.

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