Cinque domande, uno stile

Sandra Petrignani

“Cinque domande, uno stile” ospita la scrittrice Sandra Petrignani. Dagli esordi nella seconda metà degli anni ottanta [a questo periodo risalgono il romanzo “Navigazioni di Circe” (1987, Theoria) e la raccolta di racconti “Il catalogo dei giocattoli” (1988, Theoria poi in BEAT)] passando per i testi dedicati a Marguerite Duras “Marguerite” (2014, Neri Pozza) e Natalia Ginzburg “La corsara” (2018, Neri Pozza – 3° classificato al Premio Strega 2018), fino al recente “Leggere gli uomini” (2021, Laterza edizioni) e l’ultimo “Le signore della scrittura” (2022, La tartaruga).
Per chi volesse approfondire vi segnalo il suo personale blog “Sandra Petrignani“.
 
 
 
 
Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?
Difficile che mi venga l’Idea con la I maiuscola. Serpeggiano immagini, sensazioni, qualcosa che in certi casi e a poco a poco prende forma. Dunque tutto quello che provo è l’incerta sensazione che dal guazzabuglio qualcosa di buono possa emergere. A volte emerge, magari per una trentina di pagine, poi si dissolve come neve al sole. E non se ne fa niente. Altre si va avanti, ma sempre cercando e deviando, non è che riesco a seguire mai fino in fondo un’unica Idea luminosa.
 
La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?
Entrambe le cose forse. È evidente perché a lungo cercata. A volte già scritta da tempo e messa da parte in attesa della parola FINE. Necessaria di conseguenza.
 
C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a sé stessa “devo scrivere?”
Non sarei sopravvissuta all’infanzia senza questa certezza. Penso di aver cominciato a scrivere prima di saperlo fare tecnicamente. Mi raccontavo continuamente storie, per evadere da una realtà che non mi piaceva minimamente.
 
Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?
Mai. Lo stile è la propria voce. Bisogna sapersi ascoltare e capire dov’è il suo centro, il suo battito cardiaco. Il guaio semmai è il contrario: non saperlo riconoscere quel battito, e non essergli fedele. In tante scritture, oggi, si nota questo: l’inconsapevolezza verso un proprio stile possibile, una propria voce, seppur tenue.
 
In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?
Non ho mai creduto all’arte come gesto politico. L’arte è libertà e anarchia o non è. Non è nata per fare proseliti ma per esprimere singolarità irriducibili. Una volta queste singolarità affascinavano e diventavano carismatiche. Oggi non più. Oggi c’è solo invidia sociale per chi “ce l’ha fatta”, una cieca – chiamiamola – ammirazione per la persona famosa, di ciò che ha scritto capiscono in pochi, pochissimi.
 
 
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Massimiliano Città, nasce in quel di Cefalù (chè Castelbuono, dove la famiglia risiede, non ha ospedali e le levatrici hanno smesso d’esser tali) in un’afosa giornata di luglio del 1977 con un blues in Eb sulla pelle. Inciampa e si rialza nel cortile di nonna, dove fantasmi e amici iniziano ad affollare la mente. Viaggia da solo. Cresce artisticamente nel gruppo Kiroy, accolita palermitana di scrittori, pittori e musici. Nel 2004, sotto lo pseudonimo di VagabondoEbbro, pubblicato da CUT-UP Edizioni di La Spezia, esce il racconto «Delirio di un Assassino», inserito nella raccolta “Lost Highway Motel”. Ha pubblicato «Keep Yourself Alive» (2009, Lupo Editore), «Tremante» (2018, Castelvecchi) «Rumori» (2017, Bookabook), «Incisioni» (2023, L’Erudita) e «Agatino il guaritore» (2024, Il ramo e la foglia). Sul blog massimilianocitta.it conduce periodicamente alcune rubriche letterarie tra cui «Cinque domande, uno stile».

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