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Brunella Schisa

In occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo “Non essere ridicola” (2019, Giunti editore) risponde alle Cinque domande Brunella Schisa, traduttrice, giornalista di “Repubblica” per il “Venerdì” e scrittrice. Dopo avere esordito con “La donna in nero” (2006, Garzanti) ha pubblicato, tra gli altri, “Dopo ogni abbandono” (2009, Garzanti), “La scelta di Giulia” (2013, Mondadori) e “La nemica” (2017, Neri Pozza).

Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?

Quando mi viene l’idea di un romanzo, in genere vengo presa dall’ansia da prestazione e comincio a lavorarci sopra. Scrivendo soprattutto libri storici, appena decido il tema, comincio a raccogliere materiale. Il mio penultimo romanzo “La Nemica” (Neri Pozza) era ambientato durante la Rivoluzione Francese, e ho studiato un anno prima di mettermi a scrivere. Prima di cominciare devo sempre sapere come comincia e come finisce la storia, il resto lo scopro scrivendo. Nell’ultimo libro appena pubblicato, “Non essere ridicola” (Giunti Editore) essendo una storia completamente inventata, la prima sensazione è stata di curiosità perché mi cimentavo in un genere nuovo.

La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?

I finali migliori sono quelli che lasciano il lettore interdetto perché vorrebbe che la storia continuasse. Io un paio di volte sono riuscita a farlo. Come dicevo, prima di cominciare a scrivere so sempre dove finisce la storia e non cambio idea.

C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stessa “devo scrivere?”

Io scrivo da sempre, per professione faccio la giornalista culturale. È proprio per questo motivo, perché leggevo tanto, ho aspettato prima di cimentarmi nella scrittura di romanzi. Ho scritto saggi, introduzioni a libri da me curati, ma sono approdata al romanzo a cinquant’anni. Ho avuto bisogno di una lunga gestazione

Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?

Lo stile non è mai un vincolo. È la mia cifra, mi viene naturale, non c’è nulla di costruito. Non voglio dire che non curo la scrittura, la curo moltissimo ma lo stile è “di default”. Se volessi cambiarlo non ci riuscirei.

In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?

Certo, scrivere può essere un atto politico, dipende dal genere. Non i libri di intrattenimento ma ci sono tanti romanzi che se non incidono sulla società, certamente aiutano a capirla. Ne cito soltanto uno : “Middle England” di Jonathan Coe. Un romanzo che ripercorre gli anni 2000 attraverso diversi personaggi e racconta il disagio della classe media per le politiche dei laburisti e dei conservatori spiegando perfettamente come si è arrivati alla Brexit.

 

 

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