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Il Tao della fisica di Capra

– Fritjof Capra, 1989 – Adelphi – pp. 381 – € 13, 00.

 

Il mondo naturale, d’altra parte, è un mondo di varietà e complessità infinite, un mondo multidimensionale che non contiene né linee rette né forme perfettamente regolari, nel quale le cose non avvengono in successione ma tutte contemporaneamente; un mondo in cui – come ci insegna la fisica moderna – persino lo spazio vuoto ha una curvatura.

Il Tao della Fisica di Fritjof Capra unisce i mondi apparentemente distanti della scienza e della spiritualità. Pubblicato per la prima volta nel 1975, il libro ha infranto le barriere tra le due discipline, aprendo nuovi orizzonti di pensiero e stimolando una serie di riflessioni sulla natura dell’universo.
Capra esplora le similitudini tra le antiche filosofie orientali, in particolare il taoismo, e le teorie scientifiche moderne, quali la fisica quantistica e la teoria dei campi. L’autore dimostra abilmente come concetti quali il Tao, il principio dell’interconnessione e la fluidità delle cose, che hanno radici nella filosofia cinese, siano paralleli alle scoperte scientifiche sulla natura fondamentale della realtà.
Uno dei punti centrali del libro è l’idea che la realtà non sia separata, ma interconnessa. Capra traccia parallelismi tra il concetto di interdipendenza nel taoismo e la visione moderna della fisica che enfatizza l’entanglement quantistico, dimostrando come queste prospettive convergano verso un’unità profonda nell’universo.
L’approccio di Capra è rigoroso dal punto di vista scientifico, ma allo stesso tempo riesce a comunicare concetti complessi in modo accessibile anche a chi non è esperto nel campo della fisica teorica. L’autore evita di cadere nella trappola di ridurre la spiritualità a una mera spiegazione scientifica, ma invita i lettori a riflettere sulla possibilità che scienza e spiritualità possano entrambe offrire prospettive valide e arricchirsi a vicenda.

Annotazioni:

«È probabilmente vero in linea di massima che della storia del pensiero umano gli sviluppi più fruttuosi si verificano spesso ai punti d’interferenza tra due diverse linee di pensiero. Queste linee possono avere le loro radici in parti assolutamente diverse della cultura umana, in tempi diversi e in ambienti culturali diversi o di diverse tradizioni religiose; perciò, se esse realmente s’incontrano, cioè, se vengono a trovarsi in rapporti sufficientemente stretti da dare origine a un’effettiva interazione, si può allora sperare che possano seguirne nuovi e interessanti sviluppi» (Werner Heisenberg)

Il termine «fisica» deriva da questa parola greca e perciò significava, originariamente, lo sforzo di scoprire la natura essenziale di tutte le cose.

«coloro che pensano che la materia sia animata»

«Colui che, risiedendo in tutti gli esseri, da tutti gli esseri è diverso, lui che tutti gli esseri non conoscono, per il quale tutti gli esseri sono corpo, lui che governa dall’interno tutti gli esseri, questi è il tuo ātman, l’intimo reggitore, l’immortale»

come dice Werner Heisenberg, «ogni parola o concetto, per chiari che possano sembrare, hanno soltanto un campo limitato di applicabilità».

Il saggio taoista Chuang-tzu ha scritto: «Il fine della nassa è il pesce: preso il pesce metti da parte la nassa. IL fine del calappio è la lepre: presa la lepre metti da parte il calappio. Il fine delle parole è l’idea: afferrata l’idea metti da parte le parole»

«Essendosi concentrato su ciò che è di là dall’udito, di là dal tatto, di là dalla vista, di là dal gusto e dall’olfatto, che è indefettibile ed eterno, senza principio e senza fine, più grande del grande, duraturo, l’uomo si salva dalle fauci della morte».

La conoscenza che deriva da un’esperienza di questo tipo viene chiamata dai Buddhisti «conoscenza assoluta»

La conoscenza assoluta è quindi un’esperienza della realtà totalmente non intellettuale, un’esperienza che nasce da uno stato di coscienza non ordinario, che può essere chiamato uno stato «meditativo» o mistico.

In fisica la conoscenza viene acquisita attraverso il processo di ricerca scientifica che si può considerare avvenga in tre fasi successive. Dapprima si raccolgono i dati sperimentali riguardanti il fenomeno che dev’essere spiegato. Nella seconda fase, i dati sperimentali vengono correlati con simboli matematici e si elabora uno schema matematico che leghi questi simboli in modo preciso e coerente. Di solito, uno schema di questo tipo viene chiamato modello matematico oppure, se è più generale, teoria. Quest’ultima viene quindi utilizzata per predire i risultati di ulteriori esperimenti che vengono effettuati per controllare tutte le implicazioni della teoria stessa.

alla fine del loro lavoro, essi vorranno divulgare al pubblico i risultati ottenuti e dovranno allora esprimerli in forma più semplice. Per far ciò dovranno costruire con il linguaggio comune un modello che interpreti il loro schema matematico. La formulazione di un siffatto modello verbale, che costituisce il terzo momento del processo di ricerca, rappresenta anche per gli stessi fisici un criterio di valutazione della comprensione raggiunta.

Questo modo di procedere, per cui ogni teoria è saldamente basata sull’esperimento, è noto come metodo scientifico e vedremo che esiste qualcosa di analogo anche nella filosofia orientale.

le parole che usiamo nel nostro linguaggio non sono definite con chiarezza; anzi esse hanno diversi significati, molti dei quali, quando sentiamo una determinata parola, sfiorano solo vagamente la nostra mente e rimangono in buona parte nel nostro subconscio.

L’imprecisione e l’ambiguità del nostro linguaggio sono indispensabili per i poeti i quali lavorano molto per associazioni, utilizzando i diversi strati subconsci del linguaggio stesso.

Lo Zen, che ebbe origine in seno al Buddhismo ma fu fortemente influenzato dal Taoismo, si vanta di essere «senza parole, senza spiegazioni, senza istruzioni, senza conoscenza». Esso si concentra quasi interamente sull’esperienza di illuminazione e si interessa solo marginalmente di interpretare questa esperienza. Un pensiero Zen molto noto dice: «Nell’istante in cui parli di una cosa, essa ti sfugge».

Nel Taoismo, questo concetto di osservazione è racchiuso nel nome stesso col quale si indicano i templi taoisti, kuan, il cui significato originario è quello di «osservare». I Taoisti considerano quindi i loro templi come luoghi di osservazione.

Quando i mistici orientali parlano del «vedere», essi si riferiscono a un tipo di percezione che può anche comprendere la percezione visiva, ma che sempre la trascende in maniera sostanziale per divenire un’esperienza non sensoriale della realtà.

l’improvviso ricordarsi di qualcosa è particolarmente pertinente al Buddhismo, secondo il quale la nostra natura originaria è quella del Buddha illuminato, realtà che in seguito noi abbiamo dimenticato.

nel Tao-tê-ching leggiamo: «Se non se ne ridesse, la Via non meriterebbe di essere considerata tale».

In Giappone, la forte influenza dello Zen sulla tradizione dei samurai dette origine al bushido, «la via del guerriero», un’arte della spada in cui l’intuito spirituale dello schermidore raggiunge la più alta perfezione.

Secondo Ananda Coomaraswamy «il mito è la migliore approssimazione alla verità assoluta esprimibile con parole».

koan, quei rompicapo apparentemente privi di senso, che sono usati da molti maestri Zen per trasmettere il loro insegnamento. I koan presentano importanti analogie con la fisica moderna

La contraddizione, che tanto sconcerta il modo di pensare ordinario, deriva dal fatto che dobbiamo usare il linguaggio per comunicare la nostra esperienza interiore, la quale per sua stessa natura trascende le possibilità della lingua. (D.T. Suzuki)

I problemi del linguaggio sono qui veramente gravi. Noi desideriamo parlare in qualche modo della struttura degli atomi … Ma non possiamo parlare degli atomi servendoci del linguaggio ordinario. (W. Heisenberg)

ogni carica crea nello spazio circostante «una perturbazione», o «una condizione», tale che un’altra carica, se presente, avverte una forza. Questa condizione dello spazio che ha la capacità di produrre una forza è chiamata campo.

Essa è generata da una singola carica ed esiste indipendentemente dal fatto che un’altra carica sia o meno presente nel campo e ne avverta l’effetto.

A livello subatomico, la materia non si trova con certezza in luoghi ben precisi, ma mostra piuttosto una «tendenza a trovarsi» in un determinato luogo, e gli eventi atomici non avvengono con certezza in determinati istanti e in determinati modi, ma mostrano una «tendenza ad avvenire».

Nel formalismo della meccanica quantistica, queste tendenze sono espresse come probabilità e sono associate a quantità matematiche che prendono la forma di onde; ecco perché le particelle possono essere allo stesso tempo onde. Esse non sono onde tridimensionali «reali», come le onde sonore o le onde nell’acqua, ma sono «onde di probabilità», quantità matematiche astratte che hanno tutte le proprietà caratteristiche delle onde e sono legate alle probabilità di trovare le particelle in particolari punti dello spazio e in particolari istanti di tempo. Tutte le leggi della fisica atomica sono espresse in funzione di queste probabilità.

Nella fisica atomica, non possiamo mai parlare della natura senza parlare, nello stesso tempo, di noi stessi.

La meccanica quantistica ha mostrato che tutte queste sorprendenti proprietà degli atomi derivano dalla natura ondulatoria dei loro elettroni. Per prima cosa, l’aspetto solido della materia è una conseguenza di un tipico «effetto quantistico» collegato al comportamento duale onda-particella della materia, una caratteristica del mondo subatomico che non trova l’analogo nel mondo macroscopico.

L’elettrone di un atomo di idrogeno, ad esempio, può trovarsi soltanto in certe orbite chiamate prima, seconda, terza orbita, ecc., e in nessuna posizione intermedia. In condizioni normali esso si trova sempre nell’orbita più bassa, e questo è lo «stato fondamentale» dell’atomo. Da questa orbita l’elettrone, se riceve la quantità di energia necessaria, può saltare in un’orbita più alta e in tal caso si dice che l’atomo è in uno «stato eccitato»; da questo stato ritornerà a quello fondamentale dopo un breve istante, mentre l’elettrone restituirà l’energia eccedente sotto forma di un quanto di radiazione elettromagnetica, o fotone.

l’Induismo, è l’idea che la moltitudine di cose e di eventi che ci circondano non siano altro che differenti manifestazioni della stessa realtà ultima. Questa realtà, chiamata Brahman, è il concetto unificante che dà all’Induismo il suo carattere essenzialmente monistico nonostante l’adorazione di un gran numero di dèi e di dee. Brahman, la realtà ultima, è inteso come il vero «sé», l’anima o l’essenza intima, di tutte le cose. Esso è infinito e trascende tutti i concetti; non può essere compreso dall’intelletto né adeguatamente descritto a parole: «il supremo Brahman senza principio, né essere né non essere».48 E ancora: «imperscrutabile è questo supremo Sé immensurabile, non nato, impensabile, di cui non si può parlare».

Karman, che significa «azione», è il principio attivo del gioco, è l’universo intero in azione, dove tutto è dinamicamente connesso con tutto il resto. Per usare le parole della Gītā «Karman è la forza creatrice che dà origine all’esistenza degli esseri».

Tutte le azioni avvengono per l’intrecciarsi delle forze della natura; (ma) colui che è traviato dal sentimento del proprio ego pensa: “sono io colui che fa”.

«Ma colui che conosce il rapporto fra le forze della natura e le azioni vede come certe forze della natura agiscono su altre, e non ne diviene schiavo».

moksa, o « liberazione», nella filosofia indù ed è la vera essenza dell’Induismo.

Un altro metodo di liberazione importante e autorevole è noto come yoga, termine che significa «mettere il giogo», «unire», e che indica l’unione dell’anima individuale con il Brahman.

La Prima Nobile Verità indica la principale caratteristica della condizione umana, duhkha, che è dolore o frustrazione. Questa frustrazione deriva dalla difficoltà che abbiamo ad affrontare il fatto fondamentale della vita, il fatto cioè che intorno a noi tutto è precario e transitorio. «Tutte le cose nascono e muoiono»55 diceva il Buddha, e l’idea che il fluire e il mutare sono aspetti fondamentali della natura sta alle radici del Buddhismo.

L’asserzione di Nāgārjuna che la natura essenziale della realtà è vacuità è quindi ben lontana dall’essere quell’affermazione nichilista con la quale spesso viene confusa. Essa significa semplicemente che tutti i concetti elaborati dalla mente umana a proposito della realtà sono, in ultima analisi, nient’altro che vuoto. La realtà stessa, o vacuità, non è uno stato di puro non-essere, ma è la sorgente stessa di tutta la vita e l’essenza di tutte le forme.

Nel Mahāyāna, la vera saggezza illuminata (bodhi) è considerata come costituita da due elementi che D. T. Suzuki ha definito «i due pilastri che sostengono il grande edificio del Buddhismo». Essi sono prajnā, che è saggezza trascendentale o intelligenza intuitiva, e karunā, che è amore o compassione.

Di conseguenza, nel buddhismo Mahāyāna la natura essenziale di tutte le cose non è descritta soltanto mediante i termini metafisici di essenza assoluta e vacuità, ma anche con il termine Dharmakāya, « il corpo dell’essere», che descrive la realtà come essa appare alla coscienza religiosa dei Buddhisti. Il Dharmakāya è simile al Brahman dell’Induismo. Esso pervade tutte le cose materiali dell’universo e si riflette anche nella mente umana come bodhi, la saggezza illuminata. È quindi spirituale e materiale nello stesso tempo.

La felicità umana, secondo i Taoisti, si raggiunge quando gli uomini seguono l’ordine naturale, agendo spontaneamente e affidandosi alla loro conoscenza intuitiva.

Il Tao è il processo cosmico nel quale tutte le cose sono immerse; il mondo è visto come flusso e mutamento ininterrotti.

Secondo la concezione cinese, è meglio avere troppo poco che avere troppo, ed è meglio lasciare un’opera incompiuta che compierla in eccesso, perché, se è vero che in questo modo non si va molto lontano, si è però sicuri di andare nella direzione giusta. Proprio come l’uomo che vuole andare sempre più lontano verso Oriente finirà in Occidente, coloro che accumulano sempre più danaro per aumentare la loro ricchezza finiranno con l’essere poveri. La moderna società industriale che cerca continuamente di alzare il «livello di vita» e così facendo abbassa la qualità della vita per tutti i suoi membri è un esempio eloquente di questa antica saggezza cinese.

L’idea di configurazioni cicliche nel moto del Tao acquistò una struttura definita con l’introduzione delle polarità opposte yin e yang; questi sono i due poli che pongono i limiti per i cicli del mutamento: «Quando lo yang ha raggiunto il suo massimo, esso si ritrae in favore dello yin; quando lo yin ha raggiunto il suo massimo, esso si ritrae in favore dello yang».

In origine, i termini yin e e yang indicavano rispettivamente i fianchi in ombra e al sole di una montagna, immagine che rende bene l’idea della relatività dei due concetti: «Quello che fa comparire una volta l’oscuro ed una volta il chiaro, è il Senso [il Tao]».

Fin dai tempi più remoti, i due poli archetipi della natura furono rappresentati non solo da luminoso e oscuro, ma anche da maschile e femminile, rigido e flessibile, sopra e sotto. Yang, il potere creativo, maschile, forte, era associato al Cielo, mentre yin, l’elemento femminile e materno, buio, ricettivo, era rappresentato dalla Terra.

Nel campo del pensiero, yin è la mente femminile, intuitiva e complessa, yang l’intelletto maschile, lucido e razionale. Yin è la quieta e contemplativa immobilità del saggio, yang la forte attività creativa del re.

«Se si vuole restringere, bisogna (innanzitutto) estendere. Se si vuole indebolire, bisogna (innanzitutto) rafforzare. Se si vuole far perire, bisogna (innanzitutto) far fiorire. Se si vuole prender possesso, bisogna (innanzitutto) offrire. Questo è ciò che si chiama una visione sottile».

Ciò che è tortuoso diventa diritto. Ciò che è vuoto diventa pieno. Ciò che è consumato diventa nuovo.

Le azioni del saggio taoista scaturiscono quindi dalla sua saggezza intuitiva, spontaneamente e in armonia con il suo ambiente. Egli non ha bisogno di forzare se stesso, né alcunché attorno a lui, ma deve soltanto adattare le sue azioni ai movimenti del Tao. Per usare le parole di Huai Nan-tzu: «Colui che segue l’ordine naturale fluisce nella corrente del Tao».

«Non-azione non significa non fare nulla e stare in silenzio, ma lasciare che ogni cosa possa fare ciò che fa naturalmente, in modo che la sua natura sia soddisfatta».

«Non agendo; non esiste niente che non si faccia».

«Somma cosa è non sapere di sapere» dice Lao-tzu, e «Il Santo fa ciò che deve fare senza azioni, comunica i suoi insegnamenti senza parole».

«Quando ancora non si era usciti dal caos, gli uomini antichi erano partecipi della placida indifferenza che permeava tutto il mondo. A quell’epoca lo yin e lo yang erano armoniosi e calmi, il loro riposo e il loro movimento non erano disturbati, le quattro stagioni giungevano a tempo debito, le diecimila creature non erano danneggiate, gli esseri viventi non morivano prematuramente. Anche se qualcuno aveva la capacità di conoscere, non la usava mai. Questo era lo stato della somma unità. A quell’epoca nessuno agiva, ma tutti seguivano sempre la spontaneità».

In un riassunto classico di quattro righe, lo Zen è definito: Una trasmissione speciale al di fuori delle scritture, Che non si basa su parole e lettere, Ma punta direttamente alla mente dell’uomo, Che vede nella propria natura e raggiunge la buddhità.

una poesia Zen:

Sedendo quietamente,
senza far nulla,
viene la primavera,
e l’erba cresce da sé.

i Buddhisti la chiamano anche Tathatā o Essenza assoluta:

«Ciò che l’animo percepisce come essenza assoluta è l’unicità della totalità di tutte le cose, il grande tutto che tutto comprende».

sistemi osservati sono descritti nella meccanica quantistica in termini di probabilità. Ciò significa che non possiamo mai prevedere con certezza dove si troverà una particella subatomica in un certo momento o come si svolgerà un processo atomico. Tutto ciò che possiamo fare è una previsione di probabilità.

Nella meccanica quantistica siamo giunti a vedere nella probabilità un aspetto fondamentale della realtà atomica, che governa tutti i processi e persino l’esistenza della materia. Le particelle subatomiche non esistono con certezza in punti definiti, ma mostrano piuttosto «tendenze a esistere» e gli eventi atomici non avvengono con certezza in momenti precisi e in modi definiti, ma mostrano «tendenze ad avvenire».

La meccanica quantistica rivela quindi un’essenziale interconnessione dell’universo e ci fa capire che non possiamo scomporre il mondo in unità elementari con esistenza indipendente.

Come dice Niels Bohr, «le particelle materiali isolate sono astrazioni, poiché le loro proprietà sono definibili ed osservabili solo mediante la loro interazione con altri sistemi».
La meccanica quantistica ci costringe a vedere l’universo non come una collezione di oggetti fisici separati, bensì come una complicata rete di relazioni tra le varie parti di un tutto unificato.
«Il mondo appare così come un complicato tessuto di eventi, in cui diverse specie di connessioni si alternano, si sovrappongono e si combinano, determinando la struttura del tutto».

«La scienza naturale» dice Heisenberg «non è semplicemente una descrizione e una spiegazione della natura; essa è parte dell’azione reciproca tra noi e la natura».

Come dice Heisenberg, «ciò che osserviamo non è la natura in se stessa ma la natura esposta ai nostri metodi di indagine».
le parole di Chuangtzu, «Lascio inerte il corpo e bandisco l’intelletto. Abbandonando la forma e respingendo la conoscenza, faccio parte del gran Tutto. Questo intendo per sedere e dimenticare».

D.T. Suzuki scrive: «L’idea fondamentale del Buddhismo è di superare il mondo degli opposti, un mondo costruito dalle distinzioni intellettuali e dalla corruzione delle emozioni, e di comprendere il mondo spirituale della non-distinzione, che comporta il conseguimento di un punto di vista assoluto».

L’idea che tutti gli opposti sono polari – che luce e buio, vincere e perdere, buono e cattivo sono soltanto differenti aspetti dello stesso fenomeno – è uno dei principi fondamentali del modo di vita orientale. Poiché tutti gli opposti sono interdipendenti, il loro conflitto non può mai finire con la vittoria totale di uno dei poli, ma sarà sempre una manifestazione dell’azione reciproca tra l’uno e l’altro polo.

lo spazio-tempo relativistico è una realtà intrinsecamente dinamica nella quale gli oggetti sono anche processi e tutte le forme sono configurazioni dinamiche.

Il mondo quadridimensionale della teoria della relatività è il mondo nel quale forza e materia sono unificate; in esso la materia può apparire sotto forma di particelle discontinue o come campo continuo.

A livello atomico, la materia ha un aspetto duale: si manifesta come particella e come onda. L’aspetto che essa presenta dipende dalla situazione: in alcuni casi predomina l’aspetto corpuscolare, in altri quello ondulatorio; e questa natura duale è tipica anche della luce e di tutte le altre radiazioni elettromagnetiche. La luce, per esempio, è emessa e assorbita sotto forma di «quanti», o fotoni, ma quando viaggiano attraverso lo spazio queste particelle di luce appaiono come campi elettrici e magnetici variabili che presentano tutti i comportamenti caratteristici delle onde.

Upanişad: «Costui si muove, Costui non si muove; Costui è lontano, Costui è vicino; Costui è all’interno di questo Tutto, Costui è anche all’esterno di questo Tutto».

«L’essenza assoluta non è né ciò che è esistenza, né ciò che è non-esistenza, né ciò che è a un tempo esistenza e non-esistenza, né ciò che non è a un tempo esistenza e non-esistenza».

principio di indeterminazione di Heisenberg indica che, nel mondo subatomico, non possiamo mai conoscere contemporaneamente la posizione e la quantità di moto di una particella con grandissima precisione. Quanto meglio conosciamo la posizione, tanto più incerta diventa la quantità di moto, e viceversa.

L’importanza fondamentale del principio di indeterminazione consiste nel fatto che esso esprime i limiti dei nostri concetti classici in una precisa forma matematica.

Abbiamo già osservato precedentemente che il mondo subatomico appare come una rete di relazioni tra le varie parti di un tutto unico. I nostri concetti classici, derivati dall’ordinaria esperienza macroscopica, non sono del tutto adeguati a descrivere questo mondo. Anzitutto, il concetto di una entità fisica distinta quale la particella è un’idealizzazione che non ha alcun significato fondamentale. Essa può essere definita solo in rapporto alle sue connessioni con il tutto, e queste connessioni sono di natura statistica: probabilità invece di certezze.

La fisica moderna ha confermato nel modo più drammatico una delle idee fondamentali del misticismo orientale: tutti i concetti che usiamo per descrivere la natura sono limitati; non sono aspetti della realtà, come tendiamo a credere, ma creazioni della mente; sono parti della mappa, non del territorio.

«Al centro della teoria della relatività c’è il riconoscimento che la geometria… è una costruzione dell’intelletto. Solo accettando questa scoperta, la mente può sentirsi libera di modificare le nozioni tradizionali di spazio e di tempo, di riesaminare tutte le possibilità utilizzabili per definirle, e di scegliere quella formulazione che più concorda con l’esperienza».

La filosofia orientale, a differenza di quella greca, ha sempre sostenuto che lo spazio e il tempo sono costruzioni della mente. I mistici orientali consideravano questi concetti — come tutti gli altri concetti intellettuali — relativi, limitati e illusori.

«Il Buddha insegnava, o monaci, che… il passato, il futuro, lo spazio fisico,… e le singole cose non fossero che nomi, forme di pensiero, parole di uso comune, realtà puramente superficiali»

Einstein comprese che osservatori in moto con velocità diverse ordineranno diversamente gli eventi nel tempo.

Un evento lontano che avviene in un particolare istante per un osservatore può avvenire prima o dopo per un altro osservatore. Non si può dunque parlare in senso assoluto dell’«universo in un dato istante»: non esiste uno spazio assoluto indipendente dall’osservatore.

La teoria della relatività ha quindi dimostrato che tutte le misure che implicano spazio e tempo perdono il loro significato assoluto e ci ha costretti ad abbandonare i concetti classici di spazio e tempo assoluti. L’importanza fondamentale di questa evoluzione è stata espressa chiaramente da Mendel Sachs con le seguenti parole: «L’effettiva rivoluzione avvenuta con la teoria di Einstein… fu l’abbandono dell’idea secondo la quale il sistema di coordinate spazio-temporali ha un significato obiettivo come entità fisica indipendente. Al posto di questa idea, la teoria della relatività suggerisce che le coordinate spazio e tempo sono soltanto elementi di un linguaggio che viene usato da un osservatore per descrivere il suo ambiente».

«Il significato dell’Avatamsaka e della sua filosofia è incomprensibile a meno di non provare una volta… uno stato di totale dissolvimento in cui non c’è più distinzione tra mente e corpo, soggetto e oggetto… Ci guardiamo intorno e sentiamo che… ogni oggetto è connesso con ogni altro oggetto… non solo spazialmente, ma temporalmente. … Come realtà di pura esperienza, non c’è spazio senza tempo, non c’è tempo senza spazio; essi si compenetrano».

l’unicità fondamentale dell’universo e il suo carattere intrinsecamente dinamico.

nella teoria della relatività lo spazio non può mai essere separato dal tempo, la curvatura prodotta dalla gravità non può rimanere limitata allo spazio tridimensionale, ma deve estendersi allo spazio-tempo quadridimensionale. E questo è, in effetti, quanto prevede la teoria generale della relatività. In uno spazio-tempo curvo, le distorsioni prodotte dalla curvatura riguardano non solo le relazioni spaziali descritte dalla geometria, ma anche le durate degli intervalli di tempo. Il tempo non scorre con la stessa rapidità che avrebbe nello «spazio-tempo piano», e col variare della curvatura da punto a punto, in rapporto alla distribuzione della massa dei corpi, varia corrispondentemente lo scorrere del tempo.

Nel nostro ambiente terrestre, gli effetti della gravità sullo spazio e sul tempo sono talmente piccoli da essere insignificanti, ma nell’astrofisica, che tratta con corpi di grande massa, quali pianeti, stelle e galassie, la curvatura dello spazio-tempo è un fenomeno importante.

A causa della crescente forza di gravità sulla superficie della stella, diventa sempre più difficile allontanarsene, e alla fine la stella raggiunge uno stadio in cui dalla sua superficie non può sfuggire nulla, neanche la luce. A questo stadio diciamo che attorno alla stella si forma un «orizzonte degli eventi», perché nessun segnale può allontanarsi da essa per comunicare un evento qualsiasi al mondo esterno.

«L’intuito» dice Govinda «è legato allo spazio di una dimensione superiore ed è, quindi, senza tempo».

Swami Vivekananda: «Tempo, spazio e causalità sono la lente attraverso la quale si vede l’Assoluto … Nell’Assoluto in se stesso non ci sono né tempo, né spazio, né causalità».

Le tradizioni spirituali orientali indicano ai loro seguaci vari modi per andare al di là dell’ordinaria esperienza del tempo e per liberarsi dalla catena di causa ed effetto: dal vincolo del karman, come dicono gli Indù e i Buddhisti. Perciò è stato detto che il misticismo orientale è una liberazione dal tempo. In un certo senso, la stessa cosa si può dire della fisica relativistica.

Nel suo aspetto fenomenico, l’Uno cosmico è quindi intrinsecamente dinamico e la comprensione di questa sua natura dinamica ha un’importanza basilare in tutte le scuole del misticismo orientale.

D.T. Suzuki scrive per esempio a proposito della scuola Kegon del buddhismo Mahāyāna: «L’idea centrale della scuola Kegon è di afferrare nella sua dinamicità l’universo, la cui caratteristica è di evolversi continuamente, di essere sempre in quella interna disposizione al movimento che è la vita».

«la parola brahman significa “crescita”, e suggerisce l’idea della vita, del moto e del progresso»

Il quadro generale che emerge dall’Induismo è quello di un cosmo organico, che cresce e si muove ritmicamente; di un universo nel quale tutto è fluido e in continua trasformazione, mentre tutte le forme statiche sono māyā, cioè esistono solo come concetti illusori. Quest’ultima idea – la precarietà di tutte le forme – è il punto di partenza del Buddhismo. Il Buddha insegnava che «tutte le cose composte sono precarie», e che tutte le sofferenze del mondo derivano dal nostro tentativo di attaccarsi a forme fisse – oggetti, persone o idee invece di accettare il mondo nei suoi movimenti e nei suoi mutamenti. La concezione dinamica del mondo è quindi alla radice stessa del Buddhismo.

Dice S. Radhakrishnan: «Una straordinaria filosofia del dinamismo venne formulata dal Buddha duemilacinquecento anni fa… Impressionato dalla transitorietà degli oggetti, dall’incessante mutamento e trasformazione delle cose, il Buddha formulò una filosofia del mutamento. Egli riduce le sostanze, le anime, le monadi, le cose, a forze, a movimenti, a sequenze e a processi, adottando una concezione dinamica della realtà».

I Buddhisti chiamano questo mondo di mutamento incessante samsāra, che significa, letteralmente, «incessantemente in moto», e affermano che in esso non c’è nulla cui valga la pena di attaccarsi.

Quindi, per i Buddhisti un essere illuminato è colui che non si oppone al flusso della vita, ma che ne segue il movimento.

Nella filosofia cinese, la realtà che fluisce e muta continuamente viene chiamata il Tao ed è vista come un processo cosmico nel quale sono coinvolte tutte le cose. Come i Buddhisti, i Taoisti dicono che non bisognerebbe opporre resistenza al flusso, ma si dovrebbero conformare ad esso le proprie azioni. Questo, d’altra parte, è l’atteggiamento caratteristico del saggio, cioè dell’essere illuminato. Se il Buddha è colui «che viene e quindi va», il saggio taoista è colui che «fluisce», come dice Huai Nan-tzu, «nella corrente del Tao».

Anche la fisica moderna è giunta a concepire l’universo come una siffatta rete di relazioni e, come il misticismo orientale, ha riconosciuto che questa rete è intrinsecamente dinamica. Nella meccanica quantistica, l’aspetto dinamico della materia si manifesta come conseguenza della natura ondulatoria delle particelle subatomiche, assumendo un significato ancora più essenziale nella teoria della relatività, nella quale l’inseparabilità dello spazio-tempo implica che l’esistenza della materia non può essere separata dalla sua attività. Le proprietà delle particelle subatomiche possono perciò essere comprese solo in un contesto dinamico, in termini di movimento, interazione e trasformazione.

Secondo la meccanica quantistica, le particelle sono anche onde e ciò implica che esse si comportino in modo molto singolare. Ogni volta che una particella subatomica viene confinata in una piccola regione di spazio, essa reagisce al proprio confinamento muovendovisi dentro. Più piccola è la regione di confinamento, più veloce è l’«agitazione» della particella entro tale regione. Questo comportamento è un tipico «effetto quantistico», una caratteristica del mondo subatomico che non ha analoghi macroscopici. Per capire come questo avvenga, dobbiamo ricordare che le particelle sono rappresentate, nella meccanica quantistica, da pacchetti d’onda.

Secondo la meccanica quantistica, la materia non è quindi mai inerte, ma è costantemente in uno stato di moto.

Negli atomi in vibrazione, gli elettroni sono legati al nucleo atomico da forze elettriche che cercano di tenerli più vicino possibile, ed essi reagiscono a questo confinamento roteando tutt’intorno ad altissima velocità. Nei nuclei, infine, i protoni e i neutroni sono compressi in un volume minuscolo dalle intense forze nucleari e di conseguenza si agitano con velocità inimmaginabili. La fisica moderna, quindi, rappresenta la materia non come passiva e inerte, bensì in una danza e in uno stato di vibrazione continui, le cui figure ritmiche sono determinate dalle strutture molecolari, atomiche e nucleari. Questo è anche il modo in cui i mistici orientali vedono il mondo materiale.

le parole di un testo taoista: «La quiete in quiete non è la vera quiete. Soltanto quando c’è quiete in movimento può apparire il ritmo spirituale che pervade cielo e terra».

Per formarci un’idea del modo in cui l’universo si espande, dobbiamo ricordare che lo schema teorico adatto per studiarne le caratteristiche su larga scala è la teoria generale della relatività di Einstein. Secondo questa teoria, lo spazio non è «piatto», ma «curvo», e il modo preciso in cui esso è incurvato è legato alla distribuzione di materia secondo le equazioni einsteiniane del campo. Queste equazioni possono essere usate per determinare la struttura dell’universo nel suo insieme: esse sono il punto di partenza della cosmologia moderna.

Quando parliamo di universo in espansione nel contesto della relatività generale, intendiamo un’espansione in una dimensione superiore. Come nel caso dello spazio curvo, possiamo visualizzare tale concetto solo con l’aiuto di una analogia bidimensionale.

Nella Bhagavad Gītā, il dio Krsna descrive il gioco ritmico di creazione con le seguenti parole: «Tutti gli esseri… alla fine di un kalpa [o ciclo cosmico] tornano alla mia realtà; e al principio del ciclo successivo di nuovo io li emetto».

Con l’aiuto di una tecnologia estremamente raffinata, i fisici furono in grado di esplorare dapprima la struttura degli atomi, scoprendo che sono formati da nucleo ed elettroni, e quindi la struttura dei nuclei atomici, scoprendo che sono formati da protoni e neutroni, chiamati comunemente nucleoni. Negli ultimi due decenni, i fisici hanno compiuto un ulteriore passo in avanti cominciando ad esplorare la struttura dei nucleoni – i costituenti del nucleo atomico – che, di nuovo, non sembrano essere le particelle elementari definitive, ma risultano composte da altre entità.

La teoria della relatività afferma che la massa non è altro che una forma di energia, la quale non solo può assumere le varie forme note nella fisica classica, ma può anche essere racchiusa nella massa di un oggetto. La quantità di energia contenuta, per esempio, in una particella è uguale al prodotto della massa m della particella per il quadrato della velocità della luce, c2, cioè E = mc2. Ora che la massa è riconosciuta come una forma di energia, non è più necessario che sia indistruttibile; essa può trasformarsi in altre forme di energia. Ciò può verificarsi, ad esempio, quando le particelle subatomiche si urtano tra loro. In questi urti, le particelle possono essere distrutte e l’energia contenuta nelle loro masse può trasformarsi in energia cinetica, e ridistribuirsi tra le altre particelle che partecipano all’urto. Inversamente, quando le particelle si urtano a velocità estremamente alte, la loro energia cinetica può essere utilizzata per formare la massa di nuove particelle.

le parole dell’astronomo Fred Hoyle, «Gli odierni progressi della cosmologia indicano piuttosto insistentemente che le condizioni della nostra esistenza quotidiana non potrebbero sussistere se non fosse per le parti remote dell’Universo, che tutti i nostri concetti dello spazio e della geometria sarebbero completamente invalidati se le parti remote dell’Universo dovessero scomparire. La nostra esperienza quotidiana, fino ai minimi particolari, sembra essere così strettamente integrata negli aspetti su vasta scala dell’Universo, che è assolutamente impossibile pensare a una separazione delle due cose».

Il campo quantistico è visto come l’entità fisica fondamentale: un mezzo continuo presente ovunque nello. spazio. Le particelle sono soltanto condensazioni locali del campo, concentrazioni di energia che vanno e vengono e di conseguenza perdono il loro carattere individuale e si dissolvono nel campo soggiacente ad esse. Come dice Albert Einstein: «Noi possiamo perciò considerare la materia come costituita dalle regioni dello spazio nelle quali il campo è estremamente intenso… In questo nuovo tipo di fisica non c’è luogo insieme per campo e materia poiché il campo è la sola realtà».

Come Einstein, i mistici orientali considerano questa entità soggiacente come la sola realtà: tutte le sue manifestazioni fenomeniche sono viste come transitorie e illusorie. Nella concezione orientale, la realtà soggiacente a tutti i fenomeni trascende tutte le forme e sfugge a tutte le descrizioni e specificazioni. Di essa, perciò, si dice spesso che è senza forme, vacua e vuota. Ma questa vacuità non dev’essere presa per semplice non-essere. Essa è, al contrario, l’essenza di tutte le forme e la sorgente di tutta la vita. Si legge infatti nelle Upanişad:

«Il Brahman è il soffio vitale,
il Brahman è ka [felicità],
il Brahman è kha [spazio etereo]…
Ciò che è ka è anche kha,
ciò che è kha è anche ka».

Nonostante l’uso di termini come vacuità e vuoto, i saggi orientali fanno capire che essi non intendono la normale vacuità quando parlano del Brahman, del Śūnyata o del Tao, ma, al contrario, intendono un vuoto che ha un potenziale creativo infinito. Dunque, il vuoto dei mistici orientali è certamente paragonabile al campo quantistico della fisica subatomica. Come il campo quantistico, esso genera una infinita varietà di forme che sostiene e, alla fine, riassorbe.

«Quando il ch’i si condensa ci appare come cosa visibile e allora ci sono le forme [delle cose singole]. Quando si rarefà, la sua visibilità si annulla e allora non ci sono forme. Durante la sua condensazione si può non dire che questa è solo temporanea? ma quando si rarefà si può dire affrettatamente che allora non esiste?».

Quindi il ch’i si condensa e si rarefà ritmicamente, producendo tutte le forme che alla fine si dissolvono nel Vuoto. Dice ancora Chang Tsai: «Il Grande Vuoto non può consistere che nel ch’i; questo ch’i non può che condensarsi per dar forma a tutte le cose; queste cose non possono che rarefarsi per dar luogo [ancora una volta] al Grande Vuoto».

«La fisica moderna… ha posto il nostro pensiero circa l’essenza della materia in un contesto diverso. Essa ha spostato la nostra attenzione dal visibile, le particelle, all’entità soggiacente ad esse, il campo. La presenza di materia è solo una perturbazione dello stato perfetto del campo in quel punto; si potrebbe quasi dire che è qualcosa di accidentale, soltanto un “difetto”. Di conseguenza, non ci sono leggi semplici che descrivono le forze tra le particelle elementari… Ordine e simmetria devono essere cercati nel campo soggiacente ad esse».

«Nell’antichità e nel Medioevo, i Cinesi concepivano l’universo fisico come un tutto perfettamente continuo. Il ch’i condensato in materia palpabile non assumeva, in nessun senso, una struttura corpuscolare, ma i singoli oggetti agivano e reagivano con tutti gli altri oggetti del mondo… con un comportamento di tipo ondulatorio vibratorio dipendente, in ultima analisi, dal ritmico alternarsi a tutti i livelli delle due forze fondamentali, lo yin e lo yang. I singoli oggetti avevano quindi i loro ritmi intrinseci. E questi erano integrati… nello schema generale dell’armonia del mondo».

Dice il Lama Govinda: «La relazione tra… forma e vuoto non può essere concepita come uno stato di opposti escludentisi a vicenda, ma soltanto come due aspetti della stessa realtà che coesistono e cooperano incessantemente».

La fusione di questi concetti opposti in un tutto unico è stata espressa in un sūtra buddhista con le famose parole: «La forma è vuoto, e il vuoto è in realtà forma. Il vuoto non è diverso dalla forma, la forma non è diversa dal vuoto. Ciò che è forma quello è vuoto, ciò che è vuoto quello è forma».

«Quando si conosce che il Grande Vuoto è pieno di ch’i, si comprende che non esistono cose quali il non-essere»

Il protone, l’elettrone e il fotone sono tutti particelle stabili, il che significa che essi vivono per sempre, a meno che non vengano coinvolti in un processo d’urto, nel quale possono essere annichilati. Il neutrone, viceversa, può disintegrarsi spontaneamente. Questa disintegrazione è chiamata «decadimento beta» ed è il processo fondamentale di un tipo di radioattività che comporta la trasformazione del neutrone in protone accompagnata dalla creazione di un elettrone e di una particella di nuovo tipo priva di massa, chiamata neutrino. Come il protone e l’elettrone, anche il neutrino è stabile.

esiste un’antiparticella per ogni particella, con massa eguale ma carica di segno contrario. L’antiparticella del fotone è il fotone stesso; l’antiparticella dell’elettrone è chiamata positrone; esistono infine l’antiprotone, l’antineutrone e l’antineutrino. In realtà, la particella priva di massa prodotta nel decadimento beta non è il neutrino ma l’antineutrino

«Tutte le cose… sono aggregati di atomi che danzano e con i loro movimenti producono suoni. Quando il ritmo della danza cambia, cambia anche il suono prodotto… Ciascun atomo canta perennemente la sua canzone, e il suono, in ogni istante, crea forme dense e tenui»

Come dice Heisenberg: «[Nella fisica moderna], il mondo è stato ora diviso non in diversi gruppi di oggetti ma in diversi gruppi di connessioni… Ciò che può essere distinto è il tipo di connessione che è di primaria importanza in un certo fenomeno… Il mondo appare così come un complicato tessuto di eventi, in cui rapporti di diversi tipi si alternano, si sovrappongono o si combinano, determinando in tal modo la struttura del tutto».

Tutti e tre i principi generali sono connessi ai nostri metodi di osservazione e di misura, cioè alla struttura del metodo scientifico. Se essi fossero sufficienti a determinare la struttura degli adroni, ciò vorrebbe dire che le strutture fondamentali dell’universo fisico sono determinate, in definitiva, dal modo in cui noi lo osserviamo. Qualsiasi cambiamento fondamentale nei nostri metodi di osservazione avrebbe come conseguenza un cambiamento dei principi generali che porterebbe a una diversa struttura della matrice S, e implicherebbe quindi una diversa struttura degli adroni. Una teoria delle particelle subatomiche di questo genere rispecchia, nella sua forma più estrema, l’impossibilità di separare l’osservatore dal fenomeno osservato;

In definitiva, ciò significa che le strutture e i fenomeni che osserviamo in natura non sono altro che creazioni della nostra mente che misura e classifica. È questo uno dei canoni fondamentali della filosofia orientale. I mistici orientali ci dicono ripetutamente che tutte le cose e tutti gli eventi che percepiamo sono creazioni della nostra mente, che sorgono da un particolare stato di coscienza e che si dissolvono di nuovo se questo stato è trasceso.

Dice Aśvaghoşa: «Quando non si riconosce l’unicità nella totalità delle cose, allora nasce l’ignoranza come pure la particolarizzazione, e di conseguenza si sviluppano tutte le fasi della mente corrotta… Tutti i fenomeni del mondo non sono altro che manifestazioni illusorie della mente e non hanno alcuna realtà in se stessi».

Nell’I King, i processi fondamentali, chiamati «i mutamenti», sono considerati essenziali per la comprensione di tutti i fenomeni naturali: «Sono i mutamenti quello per cui i santi e saggi hanno scandagliato ogni profondità ed afferrato ogni germe».

In un universo che è un tutto inseparabile e dove tutte le forme sono fluide e sempre mutevoli, non c’è posto per nessuna entità stabilmente fondamentale.

la filosofia del bootstrap secondo la quale l’universo è un tutto interconnesso in cui nessuna parte è più fondamentale delle altre, cosicché le proprietà di una parte qualsiasi sono determinate da quelle di tutte le altre. In questo senso, si potrebbe dire che ogni parte «contiene» tutte le altre e, in realtà, una percezione di mutua incorporazione sembra essere una caratteristica dell’esperienza mistica della natura. Come dice Shri Aurobindo, «Per il senso supermentale non vi è nulla di realmente delimitato: esso si fonda sulla percezione del tutto in ogni cosa e di ogni cosa nel tutto».

Così si esprime Sir Charles Eliot: «Si dice che nel cielo di Indra esiste una rete di perle disposta in modo tale che, se se ne osserva una, si vedono tutte le altre riflesse in essa. Nello stesso modo, ogni oggetto nel mondo non è semplicemente se stesso ma contiene ogni altro oggetto, e in effetti è ogni altra cosa. “In ogni particella di polvere, sono presenti innumerevoli Buddha”».

Io credo che la concezione del mondo implicita nella fisica moderna sia incompatibile con la nostra attuale società, la quale non riflette l’armonioso interrelarsi delle cose che osserviamo in natura. Per raggiungere un tale stato di equilibrio dinamico sarà necessaria una struttura economica e sociale radicalmente differente: una rivoluzione culturale nel vero senso della parola. La sopravvivenza della nostra intera civiltà può dipendere dalla nostra capacità di effettuare un simile cambiamento. Essa dipenderà, in definitiva, dalla nostra capacità di assumere alcuni degli atteggiamenti yin del misticismo orientale, per esperire la globalità della natura e attingere l’arte di vivere in armonia con essa.

 

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