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Massimiliano Città Posts

Lamor(t)e è reale


Ho pagato per il mio amore, messo alla gogna, additato per la città come qualcuno da calpestare. Un senza dio che non può aver più patria, un uomo che approfitta del suo nome.
Ma qual’è poi il mio, e a cosa mai è servito?
A lenire la fatica del viaggio, forse?
A riempire le pagine dei giornali?
O le tasche del mio sponsor?
No, niente di tutto ciò.
Ho pagato per il mio amore nei sussurri della gente, dentro i mormorii e le stille di veleno cadute giù goccia a goccia in parole calibrate. Ho pagato negli sguardi sfuggenti carichi di rancore, e nei sorrisi stentati che accompagnavano i miei passi.
Ho pagato per la strada. E non conosco salita più ripida della mia stessa vita. Adesso, giunto in cima, scivolo lentamente, senza asfalto sotto i piedi. La temperatura è alta, molto più di quando il sole scendeva a picco sulle nostre teste che si alternavano in vetta alle montagne. Quelle montagne che scrutavamo con sospetto. La fatica spegneva i nostri occhi, senza possibilità di scorgerci così vicini al cielo da poter parlar con Dio. La temperatura adesso è alta, eppure non ho mai avvertito tanto freddo come in questo letto. E nessuna copia di giornale tra la pelle e la maglia può ristorarmi, lo so bene.
Ho vinto ovunque, così dicono.

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Questo scritto è per me, oggi.
Ho scollinato i ventisette da un bel po’, adesso saluto i trentatrè, e ho piegato chiodi arrugginiti e assi di legno fradicio.

Quando nacqui l’aria intorno era rarefatta.
Sarà retorica o sarà stato il caso, ma i blues mi presero presto grazie ad un cordone ombelicale troppo stretto alla gola. Il mio ingresso al mondo fu travagliato. Di quel giorno mia madre ha ricordo, e dolore, io posso soltanto scriverne.
Diventai cianotico e sulle parole della donna che m’ha dato la vita, nel ritornare al mattino di quel mercoledì assolato e in festa, gli occhi si illanguidiscono.
Iniziai fin da presto a soffrire di claustrofobia, a rifuggire i luoghi chiusi, fermi, le acque morte, le parole stantie, sterili. Le idee comprate al supermarket e rivendute di seconda mano a tutti quelli che pensieri non sanno d’avere. Ho iniziato fin da subito a tenermi dentro il coraggio della paura, del non farcela, di sbagliare, di riuscirci perfino.
Talvolta.
E così tante volte ho fallito, sbagliato, altre volte mi sono ritrovato per la giusta via. Forse poche, a dire il vero, ma in qualche modo ho sempre camminato.
A lungo, fino a strapparmi la pelle, ché la gente non sappia.
La suora che mi prese tra le braccia dopo il primo vagito disse a mia madre degli occhi di quella minuscola creatura sputata al mondo.
Erano malinconici.

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E di questo nessuno parla


Le solite cazzate, c’era da immaginarselo. Dissoluta, distillata, evaporata nella notte, come una goccia d’alcol.
Il tabù d’un numero difficile da oltrepassare e bla bla bla, pagine e pagine vergate d’inchiostro nero, corvino, luttuoso, come il colore dei miei capelli. Anche questo m’è capitato di leggere stamani.
La costruzione di un dolore, quotidiano, che t’insegue, mentre vorresti spegnere tutto attorno a te, di questo nessuno parla.
Io sono morta. Lo dicono i giornali, lo grida la gente, e qualcuno piange pure. Sono morta, ma non ieri. Di questo nessuno parla, nè urla, ma tace.

Che tipo eccentrico quella lì, null’altro di diverso sapevano dire. Bella voce, particolare, un modo di graffiare l’anima. Sì, in qualche modo quello scricciolo di donna ti viene dentro, e lì si ferma più di un istante. Il tempo necessario per lasciarti qualcosa a covare. Nel bene e nel male. Non c’è frivolezza nel suo incedere. E’ lento, pesante, fastidioso talvolta, ma rimane dentro. Forse ne facciamo un simbolo del soul, è da qualche anno che non produciamo qualcosa di scoppiettante. Quel tipino lì, con le gambe storte e barcollanti, e quello sguardo che a incontrarlo per strada non noteresti neppure, quel tipo lì, diciamo ha un non so che. Un non so che ci può far tirar su un bel gruzzolo. Le labbra, sì, il modo in cui le stringe, e quando parla, e canta. Dà la sensazione di esser pronta a far l’amore in ogni sospiro. Punterei su di lei, nuova regina del soul. Il trono è vacante del resto. Ma dobbiamo costruirle attorno qualcosa di significativo. Che se ne parli, ad ogni modo. Forse sarebbe meglio farla finire dritta dritta in gattabuia.

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Aforismi del correttore di bozze (1998-2011)


Quando si bruciano lettere il vento dovrebbe essere nei paraggi. Lì a raccoglierle, per non disperdere del tutto la vita che hanno raccontato.
27 giugno

I sogni sono come una pedata nel culo, devono spingerti a smuoverlo!
26 giugno

Ogni trasformazione o cambiamento non è altro che lo svelamento a se stessi di quel che si è.

Non sono stato mai così solo come adesso in mezzo a tutti voi.
24 giugno

Vorrei dormire un paio d’anni

Accade di ritrovarci tra le mani bricioli di felicità che sdegnati lasciamo scivolare a terra, in attesa di un pasto migliore. Poi, volgiamo lo sguardo altrove e la vita finisce. Soltanto allora ci rendiamo conto d’averla vissuta aspettando.
28 maggio

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