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Massimiliano Città Posts

In volo, oltre la polvere

Dicono che non puoi sollevarti da terra. Dicono che non puoi nemmeno provarci se nasci col colore della mia pelle. Dicono che rimarrai schiacciato col ventre sull’asfalto. Dicono che gli uomini non sono tutti uguali. Dicono che c’è un dio maggiore ed altri minori, dicono che c’è un unico credo e le altre sono semplicemente mistificazioni.
Dicono tante puttanate in giro, e molti danno loro retta.
Dicono che mio padre era un poco di buono. Teatrante da quattro soldi in giro per le strade, lestofante dal mestiere incerto.
Dicono che m’abbandonò in fasce.
Dicono anche che mia madre si divertisse a far di me un’attrazione da circo.
Dicono tante puttanate in giro.
Dicono che l’eroina non è per gente in gamba. Dicono che se ti buchi, beh, allora è certo hai soltanto acqua nel cervello, e quell’acqua la porti in ebollizione fino a fonderti del tutto. Non dicono che nonostante ti ritrovi ogni sera a suonare in mezzo a centinaia di persone, te ne torni nella camera d’albergo solo come un cane randagio, senza nessun cuscino che tranquillizzi la tua inquietudine.

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E mi rivedo bambino dentro scarpe sfondate

Non c’è sentore di natale in questa stanza. Ne ho trascorsi di diversi in vita mia, forse troppi da qualche parte potrebbero dire. Troppi di natali vissuti in giro per il mondo, volta dopo volta lontano dal posto che in qualche modo avrei potuto chiamare casa. Troppi e tanti vissuti in malomodo, ma a ciascuno riesco ancora nella memoria ad assegnare un sapore, un gusto preciso.
Qui dentro no.
Non c’è sentore di natale in questa stanza, eppure natale è. Lo dicono alla tele, si sente l’eco lontano di qualche cherubino che intona il tipico canto, ma non scorgo lume di candele rosse a segnare il cammino, né tavole imbandite a festa. Mi sono ritrovato spesso seduto presso tavole riccamente assortite dei più pregiati ritrovati culinari che non vedo più intorno. E in questo letto d’ospedale non riesco a scrollarmi di dosso l’infanzia e il gusto delle piccole modeste razioni di un cibo da condividere nella sacralità della famiglia, quella famiglia che non ho mai avuto.
Adesso avverto solamente la pesantezza del mio respiro.
E socchiudo gli occhi.

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Waltzing Matilda

27 luglio 1944. Lecce, Italia.

Fratello mio,

Non pensavo ci si potesse arrampicare tanto in alto. Da questa prospettiva potrei seguire il volo delle aquile se ci fossero aquile nei dintorni. Ma nulla di tutto questo, soltanto terriccio e sterpaglia. Il classico posto abbandonato da dio. E fin qui nulla di strano, lungo la strada ne ho incontrate di cose che il buon dio ha dimenticato. Sono giorni di tempeste, in cui tutte le cianfrusaglie, come schegge impazzite, ritornano a galla dalla merda nella quale erano state seppellite. Zombi. Morti che ondeggiano cullati da venti di guerra. Così oltre ad essere stata cancellata dalla mappa dei disegni divini, questa terra, avvinghiata come un’amante gelosa alla sua roccia, è stata pure messa nel dimenticatoio dagli uomini. Comunque sia, adesso, io sono qui. Sudato come non mai, con l’elmetto che non ne vuole sapere di stare a posto e questa ferraglia che pesa come un carico di cemento appena impastato. Comunque sia, ancora, sono qui, in compagnia del mio rigido tenente, uomo dai solidi principi morali che raramente si domanda perché, e va, seguendo la strada che altri tracciano per lui. Signorsì. Frank dalle spalle larghe e la risata grassa, Frank che talvolta senti bestemmiare col suo strano accento del sud, perché la ricetrasmittente non da segni di vita. Siamo qui, io e Frank braccati dal sole e da quattro mitraglie nemiche che siamo certi salteranno fuori da questa sterpaglia.

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Tabaccheria

Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso voler essere niente.

A parte questo, ho dentro me tutti i sogni del mondo.

Finestre della mia stanza,
della stanza di uno dei milioni al mondo che nessuno sa chi è
(e se sapessero chi è, cosa saprebbero?),
vi affacciate sul mistero di una via costantemente attraversata da gente,
su una via inaccessibile a tutti i pensieri,
reale, impossibilmente reale, certa, sconosciutamente certa,
con il mistero delle cose sotto le pietre e gli esseri,
con la morte che porta umidità nelle pareti e capelli bianchi negli uomini,
con il Destino che guida la carretta di tutto sulla via del nulla.

Oggi sono sconfitto, come se conoscessi la verità.
Oggi sono lucido, come se stessi per morire,
e non avessi altra fratellanza con le cose
che un commiato, e questa casa e questo lato della via diventassero
la fila di vagoni di un treno, e una partenza fischiata
da dentro la mia testa,
e una scossa dei miei nervi e uno scricchiolio di ossa nell’avvio.

Oggi sono perplesso come chi ha pensato, trovato e dimenticato.

Oggi sono diviso tra la lealtà che devo
alla Tabaccheria dall’altra parte della strada, come cosa reale dal di fuori,
e alla sensazione che tutto è sogno, come cosa reale dal di dentro.

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