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Emanuela Abbadessa

Musicologa, saggista e scrittrice. Ha collaborato con il Teatro Bellini di Catania e ha scritto numerosi saggi di carattere musicale, tra cui “Ho un sassolino nella scarpa” (2004, Bonanno). Esordisce come autrice di fiction con “Capo Scirocco” (2013, Rizzoli – vincitore del Premio Rapallo-Carige 2013 per la Donna Scrittrice e del Premio Letterario Internazionale Isola d’Elba R. Brignetti ), cui fa seguito “Fiammetta” (2016, Rizzoli) e infine “È da lì che viene la luce” (2019, Piemme) presentato al premio Strega da Rosellina Archinto.

 

 

 

Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?

Per me l’ispirazione di solito nasce da una storia vera, da un personaggio del quale mi piace immaginare un vissuto nel momento stesso in cui si spezza l’equilibrio e prende forma la vicenda che questi dovrà affrontare. L’idea, per me, si concretizza in un’immagine statica: l’istantanea di un gesto del quale comincio a costruire un prima e un dopo. Scrivo prima nella mia mente e poi, dopo aver raccolto tutto il materiale, essermi documentata, aver dato una struttura alla sequenza dei fatti, mi siedo e impiego soltanto il tempo necessario che serve a mettere le parole una dopo l’altra.

La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?

Per me diventa necessaria nel momento stesso in cui la vedo sullo schermo del pc.

C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stessa “devo scrivere?”

Non direi. Ho sempre scritto (in linea di massima saggistica) ma non avrei mai creduto di poter passare alla narrativa e fare il mio lavoro. Adesso che lo è, scrivere è un bisogno di raccontare e un’esigenza lavorativa.

Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?

Non so se possa esserlo, probabilmente in qualche caso lo è. Per me no, il mio stile è il mio modo di essere hic et nunc. Potrà modificarsi, evolvere ma, comunque, dovrà sempre rappresentare ciò che mi somiglia.

In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?

Scrivere è un gesto politico sempre. Potrebbe incidere molto di più se il bacino di lettori fosse più ampio, dunque credo che purtroppo abbia un impatto relativamente limitato. Ciascuno di noi lavora perché il pubblico si allarghi, perché diventi più consapevole e più forte nella capacità di distinguere ma si tratta di processi lunghi, che variano a seconda del momento storico e che, più o meno, si trovano di fronte sempre il medesimo tipo di ostacoli.

 

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