Ogni libro chiede d’esser letto, ogni vita vissuta, ogni amore consumato, ogni goccio bevuto per rimpiangere ancora, la campana che suona e richiama a raccolta,…
Lascia un CommentoMassimiliano Città Posts
A Parigi l’inverno è più freddo se nulla hai per scaldarti la pelle. A Parigi dicembre è gelido con i senza tetto. Gli artisti di strada questo sono in fondo. Senza tetto. Gente senza un tetto stabile che accolga la loro fatica.
Quattro mura fredde non sanno che farsene di canzoni, e numeri da circo, brillanti battute e mirabolanti piroette. Quattro mura fredde non hanno calore, non sanno neppure applaudire. Quattro mura fredde, fredde rimangono, e freddo tutt’intorno ti lasciano addosso. Il puzzo di povertà te lo senti dentro le ossa, e insolente non ti abbandona mai, per quanto sapone tu riesca a racimolare elemosinando te ne rimarrà traccia sulla pelle.
Della povertà dico.
Di quello stato che ti marchia fin dalla nascita come una bestia da macello. Una sensazione che mai t’abbandona, perché sai benissimo cos’è, cosa vuol dire la miseria sugli occhi e nelle orecchie, sui capelli sozzi di polvere e sulle dita scarnificate dal cibo che non c’è. Sai bene cos’è la povertà se nella povertà sei nata, e hai paura di ricaderci dentro, così come accade per l’alcol lasciato andare senza ritegno nella speranza che ti tiri su o per le droghe che ingerisci nella stupida illusione di ritrovarti più leggero nel cammino e con leggerezza affrontare le miserie del mondo.
Lascia un CommentoImplorano pietà congiungendosi l’un l’altra, pregano d’innanzi l’altare di un tempio spoglio e si stringono nel solidale abbraccio di un perdono. Vincono volgendo al cielo…
Lascia un CommentoMadre ho finito tutto e tutto mi sembra finire. Le mie tasche sono vuote, provo a rivoltarle ma non esce che polvere, nemmeno molliche, ché…
Lascia un CommentoEd eccomi nuovamente qui. Ancora una volta. Mai abbastanza. Per quanto si possa dire mai più, non avrai la certezza di chiudere. Di darci un taglio. Di voltare pagina una buona volta. Non è così che vanno le cose quando ti ritrovi a dipendere. Accade con le persone, con i ricordi, con quello che ci ostiniamo in maniera patetica a chiamare emozioni. Con la roba. Non è come quando al mattino ti alzi e dici mi va di farmi un toast, ed ecco bell’e pronto in pochi minuti, o magari dici preferisco sorbirmi un bel caffèlatte, pentolino sul fuoco latte quanto basta e un goccio di caffè memoria dell’altro ieri. Sul fuoco ti ritrovi tu, e poco per restare memoria. Non è così semplice, non lo è affatto.
Smettere.
Ché in fin dei conti tu pensi di farlo, e ci riesci anche. Giorni, settimane, mesi. Perfino anni, e poi d’improvviso, come un temporale ad agosto rieccoti lì. In una surreale e grottesca questua. Racimoli ogni spicciolo, ti frughi lungo le tasche del nuovo cappotto alla moda che hai trovato nel tuo già ricco guardaroba e via. Poi finisci di cercare spiccioli, ché sai di non averne più. Ed inizi ad elemosinare tra la gente che ti circonda, chiedendo a quelli che pensi ti possano voler bene.
A quelli che t’amano.
E talvolta nei rari momenti di lucidità, quando sei presente a te stessa, finisci per chiederti stupidamente come una bimba di fronte l’esistenza di babbo natale, ma m’amano davvero? Tutti in fila, davvero m’amano? E poi, con un sorrisetto che non saprei definire concludi che sì. T’amano. T’amano fino a tal punto da fornirti da sé di roba. Ti riempiono come un tacchino farcito e tu sei bell’e contenta. Fino alla prossima dose. Io ho smesso, e poi ripreso. Adesso sono qui. Con la profonda convinzione di sapere che è l’ultima volta. L’ultima volta che ci casco. Ma anche prima, prima che finissi in questa lettiga d’ospedale m’ero ripromessa la stessa cosa. Le mie promesse non valgono granché, me ne rendo conto. Mento a me stessa, anche quando non ce ne sarebbe di bisogno.
Lascia un CommentoA quanto pare hanno fissato la data. Una zanzara ronza attorno alla mia testa, più e più volte ha tentato di infilarsi nel mio orecchio destro, ma invano. Adesso s’è appiccicata al muro, accanto allo scarabocchio senza senso che qualche matto come me ha disegnato per disperazione tempo addietro. Cerco un giornale per spiaccicarla, niente, nemmeno uno straccio di fumetto porno, soltanto della carta igienica sudicia. C’è un caldo d’inferno, qualcuno sbraita e mi sento stretto, stretto come una sardina inzuppata d’olio. A quanto pare hanno fissato la data, credo proprio di si.
Domani inizierà il processo.
Spero bene. Il mio avvocato non è che sembri granché. Me l’hanno assegnato d’ufficio. Che farci? Un tipetto goffo, impacciato, spaesato, eppure nella mente e nelle parole di quel tipetto io rimetto il mio debito con la società e il mio destino.
S’è presentato gentilmente, non c’è che dire, entra con passo insicuro nella saletta visite facendo un cenno d’intesa alla guardia, posa la sua ventiquattrore sul tavolino e tira fuori una serie di scartoffie, un blocco, e dalla giacca color giallo ocra una penna. Si siede, mi fissa per un po’ e poi inizia la sua arringa. Mi chiede e richiede come sono andati i fatti, scruta ogni mio gesto, mi fissa con quello sguardo inebetito, già non è passata nemmeno un’ora e non lo sopporto più. Eppure continua, incessante, insistente continua, lui e le sue domande, lui e i suoi problemi irrisolti, le questioni, gli orari e quel qualcosa che non lo convince.
2010: 14 Ottobre: Primi passi. Palermo-Eindhoven-Amsterdam La sera scivola lungo le folate di scirocco. A Palermo la temperatura s’alza e plana sulle urla del vento,…
Lascia un CommentoAvercene di benzina e pasti da dare al mio inseparabile ronzinante, credo potremmo provare la traversata degli oceani, e chissà che non ci si riesca davvero in qualche tempo non lontano.
Firenze. 16 Gennaio 2010.
Andiamo agli Uffizi!
Le idi di gennaio mi riportano a lavoro dopo circa un anno e mezzo di attività intellettuale, e le mie vecchie e immarcescibili converse levi’s ritornano anch’esse a fumare. La scuola ha bisogno di me ma non si sa bene fino a che punto io ne abbia bisogno. Di un lavoro certo, e viste le royalities del mio primo romanzo c’è da lavorare, e rimboccarsi le maniche.
Alla fine di gennaio ritorno a Firenze dopo due anni, stavolta niente giro turistico sull’autobus panoramico alla modica cifra di venti euri, stavolta in giro sul mio ronzinante d’acciaio fino alle soglie di piazza della Signoria. Ai margini della storia che si sviluppa all’interno di quegli infaticabili corridoi che segnano gli Uffizi. Che bella passeggiata, un po’ troppo lunga e un po’ troppo piena. Credo bisognerebbe ritornarci per ogni opera che si è vista e rimanere fermi ad osservarla per un tempo indefinito (tipo orgasmo Yoga alla Sting!), invece in un paio d’ore ci ritroviamo ad inseguire una guida giapponese con tre infaticabili segugi che annuiscono ad ogni respiro e sospirano meravigliati difronte qualsiasi cornice incontrino (anche vuota). Ma vuota non è la bellezza di Botticelli e la sua primavera che tarda a venire da queste parti, e poi la sacra Famiglia di Michelangelo e l’annunciazione di Leonardo. In quelle tele, piccole, sagomate è impresso il sudore degli uomini che hanno fatta grande questa penisola, mentre adesso in qualche letto d’albergo ben altro sudore ci fa grandi.
Lascia un CommentoSinfonietta semiseria in tre tempi.
Attori Protagonisti:
Cristian Sferruzza – Batteria acustica, cric automobilistico, catene da neve e confetti.
Paolo Badami – Basso Elettrico, consigli per gli acquisti, e Kya (o roba del genere).
Luca (GianLuca) Barreca – Chitarra Elettrica da Seattle e pergamena perduta.
Massimiliano Città – Conducente d’auto e cantante a tempo perso.
Comparse:
Rino Falzone – Conduttore di Paolo.
Fabio Nappi & His Family – Ristoratori (a metro).
Valerio e Paola – Personaggi surreali(Ma esistiti davvero, e spero per loro tutt’ora esistenti).
Camionista napoletano – Cicerone miscredente (uomo di poca fede).
Pianista delle navi Snav(Tratta Palermo-Napoli e ritorno) – Maestro.
Tipo dal vestito bizzarro simil Capossela – Amico di Paolo.
Primo Tempo – Palermo alle cinque di sera in inverno e un imbarco travagliato.
Alle cinque in strada. Prendo Luca che ha appena sostenuto un esame poi passo da Cristian. La nave salpa alle sette e mezzo; in agenzia m’hanno consigliato di essere all’imbarco almeno un’ora prima. Paolo segue un master e non può liberarsi prima delle sei e mezzo. Troppo tardi, non ce la farei, il traffico di Palermo sa essere una brutta bestia. Un amico si è impegnato ad accompagnarlo al porto. Passiamo la formalità dell’imbarco automezzi, chiediamo se è possibile far salire a bordo separatamente il quarto passeggero e l’impiegato di turno ci risponde in maniera inquietante:
“ l’importante è che lo conoscete voi ”…