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Rumori, recensione di Rosanna Cancila

Pubblico la recensione della professoressa Rosanna Cancila, redatta in occasione della prima presentazione del volume tenutasi a Castelbuono, il 17 febbraio 2018.

 

 

Di Massimiliano Città avevo letto qualche racconto, alcuni frammenti e il primo romanzo, «Keep Yourself Alive», del 2009, che mi aveva suscitato interesse e curiosità: si percepiva un certo talento, una netta vocazione per la scrittura, ma, nello stesso tempo, la trama narrativa, la tessitura tra fabula e intreccio risultava ancora incerta e acerba.
Anche il contenuto rivelava aspetti irrisolti, per così dire, della personalità del giovane scrittore, uno sguardo sul mondo piuttosto confuso e non sempre coerente.
Anni luce separano, secondo me, «Rumori», edito da Bookabook nell’ottobre del 2017 (pagg. 256, € 15.00 ) da quella sua prima prova.
I 15 racconti della raccolta Rumori appaiono frutto di una personalità matura, punto di arrivo di un travaglio intellettuale e ideale segnato da diverse tappe, da esperienze di vita e di lavoro significative per la formazione dell’uomo e dello scrittore. Ho avuto proprio la sensazione di un approdo, dopo un cammino percorso dal Nostro attraverso tante strade, segnate da vari esperimenti di scrittura, dal ricorso a fonti di ispirazione sempre nuove, da una grandissima quantità di libri letti e, magari, riletti.
Si tratta di racconti di lunghezza variabile, alcuni brevi, ma molto intensi, la cui cifra è evidente già nel primo della serie, intitolato «L’incidente», che contiene, infatti, tutti gli elementi caratterizzanti l’intera opera.
La banalità apparente del quotidiano, innanzitutto, dietro cui, in realtà, si nascondono complessità e mistero della mente e dei comportamenti umani, il destino delle esistenze individuali, quasi sempre in balia del caso, impotenti a difendersi dai colpi duri inferti dagli eventi e dai propri simili, la sostanziale fragilità della condizione umana, rappresentata spesso in situazioni di marginalità e precarietà di varia natura e dimensione.
Le storie, nate da una fantasia che prende spunto sempre dalla realtà, costituiscono tutte dei frammenti di vita, meglio, dei tentativi di realizzazione della vita, destinati quasi sempre al fallimento, sia per incapacità propria che per la insopprimibile cattiveria degli altri.
Il mondo che ci racconta l’Autore è privo, talvolta, anche di una intrinseca razionalità, oltre che di qualche luce ideale che lo illumini e gli dia senso, trattandosi, per lo più, di un universo del non senso e dello scetticismo, con venature di cinismo.
Proprio nell’oscurità, però, nel dramma o nel paradosso delle trame narrative, il lettore sente, coglie tra le righe la bellezza della vita, l’invito a non sprecarla, l’esortazione a distinguere l’essenziale dal superfluo, l’importanza della cultura, dell’arte, della musica; sente e vede un altro universo che l’Autore non riesce a celare, perché gli scappa, per così dire, di mano, anzi, di penna… il mondo interiore, l’anima, l’empatia nei confronti dei sofferenti, la comprensione delle umane debolezze, un sentimento di pena e scoramento per le vittime dell’ingiustizia, della malvagità ,dell’ignoranza di una società povera di valori e di solidi riferimenti etici.
Quello che voglio dire è che i racconti, alla fine, assieme all’amarezza per un epilogo triste e doloroso, lasciano nel lettore un filo magari esile di speranza e questa speranza ha origine dall’insopprimibile aspirazione alla bellezza o, (che è poi la stessa cosa) alla piena realizzazione di sè, insita in ciascuno di noi ed evocata dalla voce narrante; è come se, da un lato scorresse la vita raccontata e rappresentata nelle sue manifestazioni più assurde e alienanti, e, contemporaneamente, dall’altro, lo sguardo partecipe e sofferto dell’autore, anche quando vorrebbe mantenersi distaccato e neutrale, riscattasse i protagonisti delle storie dalla sofferenza insopportabile del vivere, proprio perché è uno sguardo carico di pietas, di umana comprensione del dolore e delle scelte estreme cui il mal di vivere può indurre.
Quasi tutti i racconti riguardano, inoltre, temi di grande attualità, mondi e storie scaturiti da un immaginario ispirato a fatti di cronaca più o meno frequenti: dal femminicidio all’omofobia, dalla pedofilia al bullismo, dal suicidio come unica via di fuga dal dolore, all’omicidio come strumento di salvezza di chi si ama, ma non si riesce a proteggere dall’indifferenza e dall’abbandono della società.
E tutte le storie costituiscono altrettanti focus su vite malferme, in bilico, su personaggi in situazioni di equilibrio instabile, come statuine sull’orlo di un baratro cui basta una piccola spinta per precipitare o un esile appiglio per ritrarsi dal baratro.
Sono questi i «Rumori» del titolo, gli stridori, i fallimenti, gli impatti, le frustrazioni, gli epigoni infelici delle vite cui è preclusa la realizzazione e negata la compiutezza armoniosa… e sono, tutte queste vite, rappresentate dallo scrittore come altrettanti esempi di incapacità dell’uomo di aderire alla vita. Non saprei come dire… la sensazione è quella di aborti della psiche, dell’anima, o della volontà. Un mondo di vinti. Sul piano esistenziale.
Ciascun racconto è di per sé godibile, perché compiutamente definito ed esauriente nel contenuto ( e questo è proprio del genere “racconto”) e nella struttura formale, anche se poi ciascuno evidenzia caratteristiche proprie riguardo al ritmo narrativo e alle qualità formali. Dopo averli letti tutti, capisci chiaramente che hai letto l’opera di uno che con la scrittura ha stabilito un rapporto di grande familiarità , di complicità, direi.
La predilezione dello scrittore va al genere del giallo,sui cui canoni fondamentali, infatti, è costruita la maggior parte dei Racconti, a metà tra il noir e il surreale, talvolta il grottesco.
E come accade nel giallo classico, solo alla fine si svela il mistero, e si capisce la ratio della trama narrativa. Una tale struttura, ovviamente, conferisce vivacità e appeal alla narrazione e tiene il lettore avvinto alla pagina finché non arriva l’epilogo.
A ciò si aggiungono indiscutibili altre qualità: innanzitutto naturale capacità di affabulazione e scorrevolezza di espressione, sempre: non sei mai costretto a rileggere per capire e la chiarezza espositiva, almeno secondo me, è una delle prime qualità che si richiedono a chi scrive, in genere, non solo agli autori di testi letterari.
In secondo luogo, un abile uso di diversi registri, adattati alle tipologie di personaggi e contesti, pur con il prevalere del discorso indiretto che conferisce più essenzialità e asciuttezza alla narrazione; poco frequenti i dialoghi, anch’essi funzionali al nucleo della narrazione, mai pleonastici. Complessivamente, una facilità discorsiva che si traduce in felicità espressiva.
Per concludere, i racconti della raccolta Rumori possiedono tutti i requisiti idonei a catturare l’attenzione del lettore, ponendo, contemporaneamente, riflessioni e interrogativi profondi sulla condizione umana, sull’esistenza, sulle strutture di un contesto sociale che può stritolare l’individuo fino a distruggerne ogni energia vitale.
Penso che il nostro giovane scrittore del quale, peraltro, è già uscito un nuovo romanzo edito da Castelvecchi, che s’intitola Tremante, (e che reca in copertina il disegno di un altro giovane talento castelbuonese, l’artista Stefania Cordone), sia ormai sulla buona strada e continuerà in futuro a regalarci interessanti sorprese.

Rosanna Cancila

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