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Viola Di Grado

Cresciuta tra scritture e letture (la madre è la scrittrice Elvira Seminara il padre, Antonio, docente universitario), Viola esordisce a soli 23 anni con il romanzo “Settanta acrilico trenta lana” (Edizioni e/o, 2011 – vincitore del premio Campiello opera prima e finalista al premio Strega 2012), cui seguono “Cuore cavo” (Edizioni e/o, 2013) e “Bambini di ferro” (La nave di Teseo, 2016). Il suo ultimo “Fuoco al cielo” (La nave di Teseo, 2019) è appena stato pubblicato con notevoli riscontri.

 

 

Quando accade, quando un’idea, l’Idea, giunge e prende forma, si rappresenta nel suo immaginario, pronta ad essere modellata per diventare una storia, che sensazione si prova?

Come una sbronza. Mi sento ubriaca di una storia, delle sue immagini. Man mano che la scrivo la sbronza viene meno e tutto è sempre più lucido, matematico, ragionato. La mia scrittura inizia con una componente istintuale di euforica e mistica accoglienza di un’immagine, di una serie di immagini, e poi si struttura, andando costantemente avanti e indietro, secondo una successiva fase razionale.

 

 

La consapevolezza che la parola appena scritta costituisca la conclusione di un racconto è evidente o necessaria?

Le necessità di una storia sono interne, si intuiscono a livello irrazionale. Non si può forzare la voce di un racconto, la sua vita biologica.

C’è stato, nel suo percorso di vita, netto e distinto, un momento di scelta in cui ha affermato a se stessa “devo scrivere?”

È stato intorno ai 5 anni. La scrittura è nata nell’abisso che esisteva tra me e gli altri, e lo ha riempito. Mi sentivo un’aliena, la differenza tra me e gli altri era insondabile. Avevo deciso di non parlare più fino ai 17 anni: volevo abitare solo la scrittura.

Lo stile è un passaggio che ciascun autore percorre, può in qualche modo divenire un vincolo?

Non sono sicura di capire cosa intendi. In che senso un vincolo? Non ho vincoli nella mia scrittura e di certo non posso essere vincolata dalle parole che scelgo…

In quale misura crede che la letteratura oggi riesca ad incidere nella società e con quale forza lo scrivere costituisca un gesto politico?

Purtroppo, ormai, la scrittura incide pochissimo nella società. La società è diventato un organismo caotico, violento e sgrammaticato, che rincorre immagini e sensazioni da consumare in fretta, e il pensiero è il contrario di tutto questo, la letteratura è il contrario di tutto questo.

 

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