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Pacific Palisades di Voltolini

– Dario Voltolini, 2020 – Einaudi – pp. 88 – € 10,00.


Ci sono luoghi intimi e intimi rifugi entro i quali proviamo a nasconderci, a proteggerci dal circostante. Certe volte erigiamo palizzate forti, altre più tenui, da crollare al primo soffio d’allarme. E ci sono prose che si fanno poesia e versi che raccontano, in questo originale scritto di Dario Voltolini, non per tutti, ma per molti. Per tutti quelli che hanno rifugi da condividere e braccia larghe da contenere mondi.

«Dentro ciascuno di noi c’è un territorio
non sappiamo quanto sia segreto
ma è simile a un midollo
appare dopo l’ultima difesa dura dell’osso
in questo spazio nasce continuamente
non sai cosa
e non ha un centro forse
forse è il centro,
è dove finisce per noi l’analogia con la cipolla che puoi sempre
sfogliare,
non è cosí.
Quel territorio è dove si nasce di continuo.
Chi lo raggiunge può farne razzia.
Non possiamo erigere muraglie a sua difesa,
perché ci sono già, sono le ossa,
eppure qualcosa come un limite viene il sospetto
che si possa allestire in qualche modo
non tanto un confine quanto un parapetto, una ringhiera fra-
gile,
che dia solamente un segno, spazzabile via,
ma un segno, un confine,
anche all’interno di ciò che non ha differenze,
il territorio dove continuamente si nasce.»

«sono giorni in cui la pena del morire sale in superficie
il ringraziamento per esserci (stati?) sale verso il cielo
– e dove altrimenti? –»

«Devi andare: ma, ancora per un poco, stai.»

«L’etilista è un particolare tipo di drogato.
Non cerca di valicare le frontiere della percezione,
non vuole intraprendere un viaggio interiore,
né sciogliere le briglie ai propri freni inibitori,
non anela al piacere assoluto
e alla cessazione di ogni dolore.
Noi etilisti siamo alla continua ricerca di qualcosa
che abbiamo dimenticato,
che non riusciamo a ricordare.
Ci illudiamo di ritrovare in fondo
al bicchiere
una parte di noi stessi che è andata irrimediabilmente
persa.
Questa droga
non ci rende eternamente giovani,
ma eternamente vecchi.»

«Al tempo possiamo contrapporre queste fragili intuizioni,
che tutti abbiamo,
su qualcosa chiamato eternità.
Ma allo spazio che cosa opponiamo?»
«Il dolore tocca come una pietra piatta lanciata sull’acqua
la superficie in piú punti prima di inabissarsi
e restano cerchi concentrici che si intersecano
sullo specchio delle nostre piú originarie sensazioni
anche se non sappiamo nulla, proprio perché non sappiamo
nulla,
anche se sapessimo tutto, proprio perché sapremmo tutto.»

«Dentro di noi c’è un punto
e da questo punto escono dei venti e dei profumi e delle cose.
Se siamo colpiti vicino a questo punto,
se ci colpiamo,
cresciamo storti e piegati
come l’unghia ferita presso la sua matrice.»

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