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Massimiliano Città Posts

Un'altra notte


È una notte che non vuol dormire. Silenziosamente lunga. Di quelle notti che non passano mai. E scorre lungo i pensieri e scende sulla lingua muta, e scarta sui cassonetti lasciati a bruciare le miserie di un giorno passato in fretta, come ieri.
È una notte che non ha rumori, né sospiri da nascondere, chiusa in se stessa come un soffio di vita che trattengo tra le mani.
Un malinconico blues, come se sapesse, suona stanco alla radio che gracchia. Sento la voce vibrare nell’aria eppure è silenzio tutt’intorno.
Qualcosa, là fuori, si muove a sprazzi e invade il mio silenzio.
Calpestio di passi, passi lenti, stanchi, che ritornano a casa, ora veloci ora a rincorrersi nel buio di lampioni vinti dalla ruggine. E passi in fuga, passi coperti dal rombo d’automobili che scalpitano per arrivare e ripartire, aerei che ronzano tra le stelle e la luna che nuda riflette sulle mie spoglie.
Ma forse è solo incanto. Il mio, l’incanto di una notte che non sa dormire, proprio come me.
È una notte assente che non sa dire.
Niente di quello che è stato raccoglie, poco di ciò che sarà trattiene tra le dita.
Lei mi sta accanto e dorme.

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A mio figlio


A mio figlio
direi di correre,
di bere e brindare,
odiare, perdersi
e se avrà tempo d’amare.

A mio figlio direi di correre,
scalzo sul fuoco del mondo
saltare gli ostacoli,
scansare i tentacoli di piovre latenti,
quegli esseri informi che sguazzano in paludi stagnanti.

A mio figlio direi di correre al vento
lasciando alle spalle qualsiasi rimpianto,
e correre a casa e per strada
e dovunque vada scrollarsi di dosso
ogni cosa che leghi il pensiero come il cane al suo osso.

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Le mie dita tremano, è freddo tutt’intorno


Sputo fuori da questa finestra. Sputo fuori tutto al mondo.
Ho dato fuoco alle mie speranze, ne ho attizzato altre. Molte se ne sono ritornate a casa, senza fiato, arrancanti, distorte.
Altre hanno perso i loro passi per la strada. Altre, be’ altre non so che fine abbiano fatto. Forse mi inseguono ancora.
Delle mie non resta molto. Ho la gola satura, e il respiro in affanno, e freddo tutt’intorno.
Mi guardo indietro, oltre le spalle. Il collo mi duole così come i muscoli tesi dal tempo passato. Riesco a stento a voltarmi, a guardare nel passato e non ho chiara visione di quello che è stato, una sorta di nebbiolina fitta s’insinua tra me e i ricordi.
Le mie dita tremano, è freddo tutt’intorno.
Le mie dita tremano, perchè non sanno più viaggiare lungo fili metallici bollenti. Ne abbiam fatte di cose insieme, scivolando lungo il sudore di nottate estenuanti che non finivano all’alba, ma andavano oltre. Ne abbiam fatte di cose, le mie dita e loro. Esili come le idee che ci portavamo dietro, fragili come le gambe che tenevano a stento le nostre vite su, dure come le sere trascorse all’addiaccio, suonando blues.
Ho ancora qualche blues nella mente, di quelli facili da far girare tra le orecchie della gente, ma così penetranti che una paura fottuta mi prende al solo pensiero d’averceli dentro. Al pensiero di quella musica che leggera s’alza oltre le nostre teste e ci lascia stremati a terra, come in un orgasmo che sai ti fiaccherà per una notte intera. E pur sapendolo, pur sapendo bene che non potrai issarti oltre il tuo limite ti lasci andare, e quel suono s’infila dritto dritto fin dentro l’anima, e ti fotte.
Chè un’anima ce l’ho.

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