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Massimiliano Città Posts

Lettera di presentazione


Avevo scritto una lettera molto arguta, ironica. La ritenevo assolutamente efficace come lettera di presentazione. Ne ero certo. Più scorrevo quelle poche righe, più mi rendevo conto che per come riuscivo a presentarlo, il romanzo, non avrei dato scampo a chi avesse messo gli occhi addosso al primo foglio. Quel primo significativo foglio che conteneva in sé tutto il malloppo di pagine messe giù quasi di getto in pochi mesi, ma elaborate nel corso di non ricordo più quanti anni.
Era il capolavoro delle lettere di presentazione.
Anche perché non era affatto una lettera di presentazione.
Non presentava nulla.

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Correttore di bozze


Entrò in casa con una strana sensazione di vuoto. Con passo distratto. Tolse la giacca che sapeva di tabacco, l’appese all’unico pomello rimasto integro del piccolo appendi abiti all’ingresso e rimase a fissarsi allo specchio. Non aveva che quarant’anni, una calvizie incipiente, la barba ribelle che di settimana in settimana lo solleticava. Qualche fascinosa ruga, dicevano, che impudente come un bacio non voluto attorno alle labbra disegnava un aspetto profondo, come a voler sostenere le parole che venivano fuori copiose dalla sua bocca nelle sere di bisboccia. Non aveva che quarant’anni eppure i suoi occhi brillavano di luce antica, ed erano stanchi, questo lo sapeva bene. S’era sempre considerato, in maniera enfatica e malinconica, un vecchio di mille anni. Non ne aveva così tanti da dover sopportare sulle gambe, eppure gli pesavano d’una stanchezza particolare quella sera. Inciampò nel voltarsi verso il tavolo del salotto e di riflesso sorrise pensando a tutte le volte che era ritornato sbronzo, volando come un atleta lungo le scale, senza prender l’ascensore, nemmeno a pensarlo, per l’angoscia di rimanerci secco.
Dentro.
Avvertiva un particolare disagio non appena infilava il suo naso nei luoghi chiusi, particolarmente soffriva l’ascensore e non si trovava a suo agio al cesso. Chè si sa i cessi sono spesso angusti, e manca l’aria, eppure in tutti quegli anni gli era capitato di rimuginare su molti pensieri intanto che espletava. Riusciva a meditare in quel luogo, per quanto ridotto.

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Il funambolo


(Illustrazione realizzata da Anna di Buono)

Non ci sono angeli a raccogliermi qui in giro. Eppure Mikael mi diceva che in qualche modo sarebbero giunti a sollevarmi da terra senza ch’io potessi accorgermene, ecco perché si parlava di angeli e non di esseri umani, perché ci sono ma non li vedi né li senti.
Aveva una voce profonda, e spesso, nel corso delle sue narrazioni bizzarre dava l’impressione che le parole date al mondo con una lentezza irritante, provenissero da molto lontano. Ma lo avevi lì davanti a te, a qualche passo, con una luce particolare negli occhi che si spegneva nel candore della barba folta e il suo ampio gesticolare che accompagnava la narrazione. Qualcuno accennava a prenderlo in giro, chiamandolo babbo natale, ma nessuno in fondo aveva il coraggio di pararselo di fronte. Talvolta i suoi scatti furenti ammutolivano la gente entro un raggio di centinaia di metri. Si diceva in giro che nella sua piena vigoria di gioventù ebbe a che fare con una ventina di tipi sbronzi freschi di taverna che per gioco iniziarono a puntarlo con epiteti violenti fino a colpirlo tutt’insieme. Si narra che nessuno di quelli tornò a casa sulle proprie gambe.
Aveva una forza incredibile a dirsi, e si sussurrava possedesse la coda, ma io l’ho visto senza costume e non m’è parso di scorgere nessuna coda, o altra roba del genere.
Mi adottò come un figlio dopo che di mia madre si perse ogni traccia, e sotto la sua ombra sono cresciuto. Io esile, fragile e piccolo, lui imponente e roboante in ogni gesto.

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due gennaio duemilaventuno



Stava accendendo la solita sigaretta. Non c’era nessuno in casa. Fuori la pioggia ticchettava sul vetro ma non se ne dava cura. Quel ritmico tocco e il relativo rimbalzo aveva un che di musicale. Ridusse al minimo il volume del televisore per ascoltare la voce delle nuvole ingrossate, il piscio del cielo era solito definirlo da giovane, ma tanti anni erano trascorsi da allora.
Quanti?
Non lo ricordava più, né gli interessava granchè.
Distese le gambe sotto al tavolo, sfogliò alcuni manoscritti che avrebbe dovuto correggere entro un paio di giorni e imprecò per quel genere di scrittura che tanto andava di moda, e tanto avversava. Ma un misero correttore di bozze non può di più. Aveva provato ad insinuare nella mole di carta battuta ad inchiostro, che settimanalmente gli veniva assegnata, un suo lavoro, una lunga lettera, un romanzo epistolare di quelli che si scrivevano un tempo, e adesso facevano sorridere.
Non lui.
Aveva riversato la sua anima là dentro, se anima poteva dirsi, e ad ogni modo s’era svuotato di tutto.

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