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Hey Mister

The Assassination of John Lennon

Chiunque può avere successo.
Se continui a ripeterlo un bel po’ di volte puoi averlo anche tu.
[J.Lennon]

I marchingegni moderni non riesco a sopportarli del tutto. Sebbene, è indubbio e non lo nego mica, abbiano portato parecchi vantaggi alla mia quotidianità.
Per esempio questa scatoletta di tonno, che se non sai bene come fargli fronte finisci per sgocciolare tutto l’olio sul pavimento, è un grande ritrovato, senza se né ma. Basta un semplice gesto e ti ritrovi un piatto delizioso da gustare. Io adoro l’olio, e m’impegno a non disperderlo lasciandolo schizzare per la cucina. Se mamma fosse ancora qui sono certo che inizierebbe a dare di matto.
Urlando che non sono buon a far nulla.
Ma sono anni che me ne sto per cazzi miei in questo piccolo appartamentino.
Qui tranquillamente solo.
Tutto ciò che sta dentro al monolocale mi appartiene.
Anche i miei respiri, che sono miei e di nessun altro, e soltanto io decido se spalancare la finestra e lasciarli andar fuori.
Questa scatoletta di tonno è mia.
Assolutamente mia.
L’ho comprata. Io, io e nessun altro.
Vorrei sapere quale idiota possa pensare che questa scatoletta qui non sia mia.
Sfido chiunque a togliermela dalle mani.
Mia come tutto qui intorno. Per esempio la credenza della cucina l’ho acquistata anni fa. Era lì in bella mostra da un rigattiere. Sono riuscito a strappargliela per pochi dollari. Il tipo era un perfetto idiota, infervorato da nuovi credi religiosi, e mistiche arie orientali, s’era messo in testa di sbarazzare tutto il localino che aveva messo su con pazienza lungo il corso della sua vita e mandare a fanculo tutto, la città, l’America, e i santi. Non so che fine abbia fatto, ma quando mi parlava aveva gli occhi iniettati di euforia, un fare infervorato che ti fa pensare da un momento all’altro mi salta addosso e mi fa secco. Avrà fatto secco qualcuno, ne sono certo, aveva l’aria di volerlo fare, almeno così ho visto nei suoi occhi. Alla fine a me è andata bene, pochi spiccioli per quella credenza che m’accompagna ogni mattino, da qualche tempo a questa parte. Il mobiletto bar, invece, viene dall’arredo di mamma. Mi ha concesso soltanto quello, poco aveva in verità da lasciarmi, a parte l’eco viva delle sue urla e i continui rimproveri. Ma non è che me ne importi tanto.
Non ricordo nemmeno da quanto non lo rinverdisco con nuove bottiglie.
Non bevo più come una volta.
Sono ormai anni che ho lasciato scivolare le bottiglie, non sfioro un goccio da mesi. Le mie belle bottiglie da collezione rimangono avvolte dalla polvere.
Prima, invece, era una festa continua.
Droghe e alcol d’ogni tipo. Una mistura impossibile da reggere, qualcuno dice. Io l’ho fatto e non era male. Poi finì che mi presero a forza rinchiudendomi come un matto.
Niente da dire. Matti loro.
Io andavo per la mia strada senza far male a nessuno. Non sono il tipo. Dico il tipo da far male a qualcuno, simile al rigattiere per capirci. Sono uno taciturno, filo dritto e voglio che gli altri facciano lo stesso con me. Certo alcune cose mi fanno imbestialire. La gente per esempio che cambia e inizia a parlare di mondi nuovi e utopie ridicole che non stanno né in cielo né in terra. Quelli che in nome di non so bene quali ideali iniziano a fare i predicatori.
Quel tipo di gente lì non riesco proprio a reggerla.
Per dirne una, in concreto, da quando hanno smesso di suonare insieme, lui non ha fatto che cazzate.
Sì, soltanto cazzate, non ci sono dubbi, pochi l’hanno capito, io sono uno di questi.
Baccano e posture artefatte.
Tutto per avere qualche titolo in prima pagina, qualche intervista in più.
A me sembra uno fottuto di cervello che non ha più idee musicali e s’inventa rivoluzioni di pensiero, come fosse un novello Gesù Cristo.
Predicatore delle mie palle.
Non vale più una cicca come musicista e s’industria per rimanere sulla breccia, sa bene, il furbone, d’esser seguito.
Gli stanno ai fianchi. Lo braccano, ha i minuti contati.
Nessuno ne voleva sapere d’averlo tra i piedi qua in casa mia, tutti ne sono a conoscenza. Il nostro è un paese che mantiene certi valori e li fa rispettare. Non vogliamo senza dio né finti rivoluzionari dai conti in banca che sprizzano banconote verdi da ogni poro.
Ha scelto una strada forzata, qualcosa che non gli appartiene.
Glielo leggo negli occhi.
Sta recitando una parte come il peggiore dei caratteristi. A me non è mai piaciuto più di tanto il teatro, ma si capisce lontano un miglio che lui è fuori parte.
Qualcuno dovrebbe farglielo capire.
Prima sì, insieme, sì che erano davvero forti. E chi provava a scrollarli dal posto che s’erano conquistato?
Chi era così deficiente da pensarlo?
Nessuno, infatti.
Erano dei, e ogni loro gesto, ogni loro parola, le melodie, anche le più misere che riuscivano a costruire, finivano per riempirti le orecchie, e poi le giornate.
Capitava a tutti.
A me è accaduto per anni.
Per anni la loro musica m’è entrata dentro, ed io ho risposto assecondandola. Io li ho seguiti. Senza frenesia, per carità, quella è propria degli sciocchi, ed io non lo sono affatto.
Li ho seguiti con passione.
La passione è il tratto distintivo di chi sa come vivere.
Poi, poi il caos. Non credo si siano capiti granché quelli là. Certo lui col suo modo di fare ha affossato il gruppo. Non credo che la colpa possa essere d’altri. Lui e la sua puttana. Osceni predicatori della domenica blasfema che vorrebbero portare tra noi.
Ma cosa ha poi da predicare?
Un senza dio che dice di non credere più in nulla, neppure nell’amico di sempre. Quella spalla con la quale ha costruito tutto il suo impero.
Arriva un giorno, così, senza nessun preavviso e dice di non credere più.
Ora, il fatto che non creda in un musicista potrei anche accettarlo, il fatto che abbia perduto la fiducia riposta nel vecchio amico, vabbè, capita a tutti, può capitare, il fatto che dica di non credere più in ciò che hanno fatto tutti insieme potrei perfino capirlo.
Ma Dio no.
Cazzo, come può bestemmiare così apertamente e dire di non credere in Lui?
Non lo sopporto.
Sono anni ormai che non lo sopporto più.
Questo disco, per esempio, potrebbe anche suonare bene se non fosse stato pensato dalla sua mente malata.
La mente di un miscredente.
La mente di un predicatore dalle parole facili e banali, come tutti i predicatori che disconoscono la figura di Dio.
Questa pistola qui l’ho presa in saldo.
Credo che sia un diritto di tutti tenerne una. La pistola dico. La città s’è fatta triste e violenta. Ad ogni angolo ombre silenziose mi danno l’impressione di saltarti addosso. Le sento sopra di me, a seguire la scia del mio cammino. Avverto terribili sensazioni e mi cautelo come è giusto che sia. Chiunque per la via può metterti le mani addosso, oggigiorno. Portarsi quello che è legittimamente tuo, acquistato dal rigattiere, magari lascito di tua madre, frutto di un lavoro modesto ma dignitoso.
Io mi oppongo a certo tipo di violenza, e mi tutelo con questa pistola. E so che è il volere di dio. Seguo la bibbia e so che quella è la via che mi guida quotidianamente verso la luce eterna. So di fare tutto per il meglio dando voce alla parola di dio.
Non ammetto che si parli dell’assenza del verbo.
Dio è ovunque.
Dentro ogni cosa.
Chi lo rinnega è destinato a morire in terra così come in cielo. E il cielo non accoglie peccatori. Così è scritto, così deve essere. Ho subito visto il cammino da percorrere, non sempre sono stato in grado di comprenderne il modo.
Capita di sapere dove andare, aver compreso bene la direzione, ma allo stesso tempo quella sicurezza non è supportata dai modi.
I modi d’agire, dico, che spesso non corrispondono con i nostri pensieri, con ciò che vorremmo fare, essere.
Poi è giunto questo tipetto sbarazzino, ‘sto Caulfield, e ho avuto immediatamente la percezione che quello, il suo modo, era un modo giusto di vivere.
Ed io non l’abbandono mica.
Sempre con me.
Non riesco a separarmi da sto ragazzino che è riuscito a vivere la sua esistenza aldilà del perbenismo imperante. Con idee proprie, diverse dalla massa. Senza il bisogno di assoggettarsi a nulla, senza affermare né negare radicalmente.
Come ha iniziato a fare da qualche tempo quel signore lì.
Anche nell’aspetto, quel predicatore dei miei coglioni, mai sempre uguale a se stesso.
Una maschera in continuo movimento.
Capelli, baffi, poi niente di niente, poi di nuovo capelli lunghi e baffi folti, e occhialini scuri, e poi di nuovo nulla.
E nuovamente barbone e profeta prosaico.
Blaterante utopie del cazzo.
Senza dio che alberga nei migliori hotel.
Venga da me, in pochi metri quadri. Vorrei sfidarlo, dirgli se sia capace con le sue utopie di rinchiudere entro pochi metri quadri un’esistenza esplosiva come la mia. Sono certo che fallirebbe, e girerebbe i tacchi, ma-no nella mano con la sua puttana.
Quel tipo lì non è in grado di saper scegliere nulla da solo.
Un senza dio, un senza palle.
Qualcuno dovrebbe dirglielo.
Forse potrei io stesso farglielo capire.

Ehi mister, che bella giornata oggi.
Apporrebbe una firma qui?
Proprio qui, sì.
A Mark, grazie.
Bel lavoro, non c’è dubbio.
Anche se in passato ha fatto di meglio.
L’avete fatto insieme, poi avete scelto di dividervi e qualcun altro s’è portato via il suo genio.
Ehi mister, una foto, prego.
Ho appena acquistato una copia del disco.
Grazie mister.

Hey mister Lennon, sta per entrare nella storia.

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